Bruxelles. Pesi, veti, coalizioni: come cambia il Parlamento europeo dopo il voto
Il nuovo Parlamento europeo
A poche ore dal voto già cominciano le grandi manovre. I Popolari Europei, dice il presidente Manfred Weber, sono «gli unici che hanno vinto nel centro democratico e la democrazia prevede che chi ha vinto decida chi debba stare ai vertici. Ursula Von der Leyen è la nostra candidata» alla conferma alla presidenza della Commissione Europea. Non ha torto, visto che le altre due componenti della “maggioranza Ursula” - i Socialisti e i liberali-macroniani di Renew – hanno subito pesanti perdite, mentre il Ppe vanta un aumento di una decina di seggi, arrivando primo in tredici Paesi. Gli altri vincitori sono a destra, con un netto aumento del gruppo degli euroscettici di Id (di cui fanno parte la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen), e un più contenuto incremento dei Conservatori (Ecr, di cui fanno parte Fdi e i nazional-populisti slovacchi del PiS). «Da subito – ha detto domenica notte Von der Leyen - inizieremo il confronto con i principali partiti della piattaforma con cui abbiamo lavorato in questi cinque anni, S&d (Socialisti e democratici) e Renew. Ho sempre detto che lavoro per un'ampia maggioranza, per un'Europa forte. E le condizioni che sia pro-Ue, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto». Per la tedesca queste elezioni hanno «dato due messaggi. Primo, rimane una maggioranza al centro per una Europa forte. In altre parole: il centro ha tenuto. È però anche vero che gli estremi a sinistra e destra hanno guadagnato sostegno e questa è la ragione per cui questo risultato comporta grandi responsabilità per i partiti del centro».
Von der Leyen parla già come se avesse già in tasca la conferma alla guida della Commissione. A deciderlo dovranno essere i capi di Stato e di governo, scenario sempre più probabile, visto l’ottima performance del Ppe e il fatto che il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz sembrano propensi (Giorgia Meloni rimane prudente). La decisione informale (a maggioranza qualificata) potrebbe arrivare già lunedì prossimo alla cena dei leader, per poi essere ufficializzata al Consiglio Europeo del 27-28 giugno. Già ieri c’è stata una videoconferenza dei capi di Stato e di governo che aderiscono al Ppe. Il voto di conferma in Parlamento Europeo potrebbe arrivare il 18 luglio.
Ursula von der Leyen - .
Il problema è la coalizione. Sulla carta, secondo gli ultimi dati provvisori, i tre partiti della “maggioranza Ursula” arriverebbero a 399 seggi, ben oltre dunque la maggioranza di 361. Il problema è che nel Parlamento Europeo i gruppi politici spesso non sono molto coesi, come si vide già nel 2019. Allora i tre partiti disponevano di 417 seggi, ben oltre la soglia di 353 (allora il Parlamento Europeo era di 705 seggi, ora di 720). Eppure Von der Leyen, visto l’alto numero di franchi tiratori, ebbe una maggioranza di appena nove seggi, e per averli dovette ottenere il sostegno, fuori dalla “coalizione Ursula”, dei polacchi del PiS e di M5S. Ecco perché i 38 seggi di margine rispetto alla maggioranza assoluta sono troppo risicati. Nei giorni scorsi si era molto parlato del suo interesse per FdI di Giorgia Meloni, che dovrebbe mandare a Strasburgo 24 eurodeputati.
Problema: i veti degli alleati. «Non c'è nessuna possibilità per noi socialdemocratici di collaborare con chi vuole smantellare, indebolire questa Europa che cerchiamo di costruire da decenni», avverte il candidato di punta dei Socialisti Nicolas Schmit. «Noi – sottolinea anche la capolista di Renew Valérie Hayer - manteniamo la nostra posizione contro ogni accordo con l'Ecr. È una destra estrema e noi preserveremo il cordone sanitario anche in questa legislatura».
Von der Leyen ha preso nota. «Negozio con le famiglie politiche, non con le delegazioni nazionali», ha precisato ieri a Berlino. Qualcuno può interpretarla con un riferimento a FdI, delegazione nazionale italiana nei Conservatori. La presidente guarda ai Verdi, che, pur se ridotti di una ventina di seggi, comunque ottengono una cinquantina di eurodeputati. Solo che gli ambientalisti, che nel 2019 non la votarono, hanno condizioni molto chiare. «Il Green Deal e il rafforzamento della democrazia europea – dichiara il copresidente Philippe Lamberts - saranno fondamentali per noi». Ma i Popolari premono per un annacquamento del Green Deal.
Le grandi manovre riguardano anche altri gruppi. L’AfD, anzitutto, che con i suoi 17 seggi fa gola. È stato appena espulso dal gruppo Id per volontà di Le Pen e della Lega. Ha però a sua volta cacciato il suo ex candidato di punta Maximilian Krah (reo di aver minimizzato il ruolo delle Ss) e spera di rientrare, ne parlano domani Matteo Salvini con Le Pen a Bruxelles. E poi c’è il premier ungherese Viktor Orbán, che aspira a far entrare i dieci eurodeputati del suo Fidesz nell’Ecr. Sullo sfondo, gli interrogativi sul futuro dell’Europa, con Macron e Scholz trasformati in anatre zoppe dal risultato elettorale: proprio il motore franco-tedesco dell’Europa rischia di incepparsi. Senza contare il costante aumento dei leader di estrema destra euroscettica: Orbán, il premier slovacco Robert Fico, il nuovo governo olandese sotto l’egida di Geert Wilders, e, probabilmente, dall’autunno un cancellerie austriaco dell’estrema destra della Fpö. Un futuro davvero incerto.