Attualità

Il caso. La Corte Costituzionale boccia (in parte) l'autonomia differenziata

Marco Iasevoli giovedì 14 novembre 2024

La premier Meloni e il ministro Calderoli

Autonomia, non così. E di certo non accentrando la scelta più importante, quella dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni per i diritti sociali e civili, nelle esclusive mani del governo. La Consulta dichiara incostituzionali norme centrali della legge Calderoli, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge posta da quattro Regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania). Il comunicato della Corte costituzionale, che anticipa in sintesi i contenuti della sentenza, arriva inatteso a tardo pomeriggio, mentre i principali leader di centrodestra, Meloni compresa, sono sul palco di Perugia per le elezioni umbre. Al netto dell’equilibrio del testo dei giudici costituzionali, che “salvano” la cornice ma “smontano” il dispositivo, l’effetto è dirompente. La Consulta elenca sette punti incostituzionali. Primo, «la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata alla luce del principio di sussidiarietà». È sempre un azzardo interpretare la Corte prima di leggere la sentenza, ma suona come un "se dobbiamo fare l'autonomia, facciamola bene".

Il secondo punto incostituzionale riguarda «il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento». Il terzo rilievo è gemello del secondo, ovvero «la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) a determinare l’aggiornamento dei Lep». Il quarto è un altro gemello ancora: «il ricorso alla legge di bilancio per il 2023 per la determinazione dei Lep con Dpcm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi». Insomma, sono le Camere che devono essere centrali, decreti delegati e Dpcm non sono gli strumenti adatti a regolare i diritti sociali e civili dei cittadini italiani: il diritto alla salute, all’istruzione, alla mobilità...Il quinto rilievo costituzionale riguarda i conti pubblici. È incostituzionale «la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito». «In base a tale previsione – spiega la Corte - potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni». Anche il sesto rilievo ha a che fare con le casse dello Stato: è illegittima «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica». Infine, ultimo punto, la Consulta ritiene improprio che la legge Calderoli venga applicata alle richieste di autonomia che potrebbero provenire dalle regioni a statuto speciale, che invece possono attivare la procedura seguendo il proprio statuto.

In un ragionamento più ampio, il collegio della Corte ritiene che «l’articolo 116 della Costituzione deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana», che «riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio». Inoltre, «la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative non deve corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma deve avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione», seguendo «il principio costituzionale di sussidiarietà». La Consulta ricorda che avrà competenza anche sulle singole intese tra regioni e Stato e affida al Parlamento il compito di «colmare i vuoti» derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle quattro regioni ricorrenti. Via libera “costituzionale” invece ad altri punti della legge, inerenti il potere d’iniziativa, il ruolo attivo delle Camere sulle intese con le regioni («non è un prendere o lasciare»), la distinzione tra materie Lep e no-Lep, la sostituzione della spesa storica con i costi e fabbisogni standard, la cosiddetta “clausola di invarianza finanziaria”.

Nessuna reazione particolare dal Colle, che aveva dato il via libera alla legge Calderoli inquadrandola come testo procedurale e puntando sul ruolo del Parlamento in sede di esame delle intese tra regioni e governo. Mentre è tutto da decriptare il silenzio ufficiale di Giorgia Meloni, leader di un partito con folto voto meridionale, la posizione della Lega è affidata a una nota informale che prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: per il Carroccio la legge Calderoli ha «superato l’esame» e i rilievi saranno «facilmente superati» dal Parlamento. Poi interviene proprio Calderoli: la Corte va rispettata, dice, sulle modifiche occorre fare valutazioni ma i negoziati con le regioni procederanno. Una linea che però ora va affinata con FdI. Dice il meloniano Alberto Balboni: «La Corte non ha smantellato la legge, ha fatto qualche aggiustamento. Siamo ancora in attesa che vengono definiti i Lep. Non c'è bisogno che il Parlamento intervenga, basterà prendere atto delle modifiche apportate della sentenza della Consulta». Non così la pensa Forza Italia, che rivendica piuttosto la battaglia per mettere in stand by la riforma sino alla definizione dei Lep. Per le opposizioni, è un giorno di rivalsa. Schlein invita il governo a «rileggere la Costituzione», Conte ricorda che «l’Italia è una». Non si pronunciano ancora, invece, sul futuro del referendum abrogativo. Mentre sono certi, i leader di minoranza, che la battuta d’arresto dell’autonomia farebbe saltare anche lo “scambio” con il premierato caro alla premier.