La sindaca di Novellara. «Cittadinanza a Saman. Nel suo nome salveremo altre donne»
La sindaca Carletti mentre vota per la cittadinanza a Saman in Consiglio comunale, a Novellara
Saman Abbas è cittadina di Novellara. Lo è diventata da morta, grazie a una delibera approvata ieri sera all’unanimità dal Consiglio comunale della cittadina in provincia di Reggio Emilia in cui lei è arrivata da adolescente, ha studiato ed è stata uccisa per il suo desiderio di libertà. Saman non voleva piegarsi a un matrimonio forzato, e per questo i genitori e gli zii nella notte del primo maggio 2021 l’hanno punita, come ha stabilito il 19 dicembre scorso la sentenza della Corte d’Assise. Saman aveva 19 anni e un fidanzato che aveva scelto da sé.
«Perché la cittadinanza? Perché avevamo bisogno di un gesto simbolico che preservasse la memoria di Saman nel nostro Comune – spiega a caldo la sindaca Elena Carletti, in carica dal 201, sostenuta da una lista civica –. Ma è anche un messaggio che volevamo mandare alle ragazze che si trovassero in situazioni analoghe».
Quale messaggio, sindaca Carletti?
Che si devono sentire pienamente cittadine. La sensazione infatti è che dietro queste situazioni di costrizione a cui vengono sottoposte e a cui faticano a reagire ci sia anche il senso di spaesamento, la mancanza di punti di riferimento.
La cittadinanza italiana, eventualmente, la potrà concedere la presidenza della Repubblica. Pensa che essere cittadina a tutti gli effetti avrebbe potuto salvare la vita a Saman?
Difficile dirlo. Sicuramente la cittadinanza può semplificare l’uscita da situazioni di costrizione, soprattutto quando le ragazze vengono condotte contro la loro volontà nei Paesi di origine. Se fossero cittadine italiane, sarebbero più protette. In generale, comunque, mi pare che questi ragazzi di seconda generazione, maschi e femmine, abbiano bisogno di un porto sicuro, di sentirsi appartenere a qualcosa. Del resto le giovani generazioni, italiane e migranti, dovranno costruire insieme un futuro comune. Altrimenti si creeranno sacche di emarginazione, così come vediamo in altri Paesi europei. L’inclusione non è un percorso facile ma non va abbandonata: anche perché i costi dell’esclusione sarebbero più alti.
Il Consiglio comunale di Novellara ha approvato anche la costituzione del “Fondo Saman Abbas”, alimentato da denaro pubblico e donazioni private. A cosa servirà?
Il Fondo promuoverà borse di studio per ragazze che non potrebbero continuare gli studi per motivi economici. Sosterrà la formazione degli operatori sociali, delle forze dell’ordine, di semplici cittadini che dovranno essere altrettante sentinelle sul territorio: non è facile per gli operatori entrare in dinamiche familiari complesse, alimentate da culture radicatissime e spesso per noi poco comprensibili. E poi il Fondo finanzierà corsi di informatica, borse lavoro e lezioni propedeutiche alla patente di guida rivolti a donne migranti.
Torniamo a Saman: è diventata un simbolo, una “figura universale”, come l’ha definita il procuratore capo Gaetano Paci alla requisitoria finale al processo. C’è un prima e un dopo l’omicidio di Saman, secondo lei?
Penso che la sua morte non sia stata vana. Saman non è stata la prima ad essere stata uccisa perché si opponeva a un matrimonio combinato (ricordate Hina a Brescia, ndr), però non si era mai entrati così nel merito di quanto contano le tradizioni familiari. Oggi la propaganda soffia contro le religioni, e in particolare contro l’islam, ma la religione non c’entra se non per una sua interpretazione sbagliata. Il guado oltre le tradizioni familiari millenarie verso una cultura diversa lo stanno oltrepassando loro, i giovani migranti, e in particolare le giovani.
Lei l’ha chiamata la “rivoluzione delle ragazze”. Perché?
In Italia è molto difficile parlare di inclusione e integrazione. Ma tra qualche decennio riconosceremo una scintilla rivoluzionaria nel coraggio di queste ragazze che in questi anni, nel silenzio ma con grande tenacia, si stanno ribellando a usi e costumi appartenenti a tradizioni familiari senza fondamento in Italia. Guardandoci indietro, come oggi ricordiamo Franca Viola (la giovane siciliana che nel 1966 rifiutò il “matrimonio riparatore”, ndr ), così tra una decina di anni riconosceremo il coraggio dirompente di donne che hanno cambiato la storia e le leggi. Anche qui a Novellara abbiamo intercettato casi come quello di Saman e siamo arrivati in tempo: altre ragazze sono state salvate. Di loro non si sa nulla perché vivono protette, hanno cambiato nome. Ma un giorno le loro storie si conosceranno. E potremmo davvero apprezzare la rivoluzione che hanno compiuto.