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Tumori. La chemioterapia del futuro? Sarà smart: più potente, meno tossica

Vito Salinaro martedì 4 giugno 2024

In pochi anni la "vecchia" chemioterapia subirà enormi cambiamenti

Non è ancora il momento di mandare in pensione la “vecchia” chemioterapia e rimpiazzarla con cure che, pure, stanno rivoluzionando la lotta al cancro: dall'immunoterapia ai moderni radiofarmaci, dalla protonterapia alle cellule Car-T, per citarne alcuni. Anzi. È tempo di rivalutarla e renderla, nel giro di 4-5 anni, molto più efficace dell’attuale e, al contempo, di gran lunga meno tossica: in una parola, “smart”. È quanto emerge dal congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), che si è appena svolto a Chicago. E in cui sono stati presentati alcuni “anticorpi farmaco-coniugati”, ultima evoluzione della chemio, già ribattezzata “chemioterapia intelligente”. Insomma, questa opportunità di cura è destinata finalmente a scatenare il massimo del potenziale terapeutico ma con minori effetti collaterali e minore tossicità. Perché, sino ad oggi, uno dei grandi limiti della chemio (assieme alla resistenza sviluppata da alcuni tumori) è rappresentato proprio dagli effetti collaterali del trattamento che, di conseguenza, ne ha spesso ridotto la capacità di sconfiggere le cellule maligne.

Entro questo decennio, spiega il presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Franco Perrone, arriveranno «i farmaci di ultima generazione, con una tecnologia innovativa, finalizzata a portare il farmaco direttamente all'interno del tumore: l'anticorpo va cioè a legarsi al bersaglio molecolare presente sulla cellule tumorale e, una volta “agganciata” la cellula cancerosa, rilascia al suo interno i farmaci che trasporta». Una evoluzione importante: «In questo modo – aggiunge Perrone -, iniziamo ad utilizzare dei chemioterapici molto potenti ed efficaci» che finora risultavano però pericolosamente nocivi «per l'organismo. Ora è come se questi potenti chemioterapici fossero trasportati in uno zaino sulle spalle dell'anticorpo e “liberati” solo una volta che l'anticorpo li ha trasportati nella cellula cancerosa. In questo modo non entrano in contatto e non possono danneggiare le cellule sane».

Si stanno dunque «rivalutando vari chemioterapici potenti ma considerati finora citotossici. Degli anticorpi farmaco-coniugati si è molto parlato all'Asco: nati da pochi anni, al momento ne sono disponibili 4-5 ma entro il 2025 arriveremo ad una decina in totale, in particolare – precisa il presidente Aiom – per il trattamento dei tumori del polmone, del seno e contro il mieloma». Per l'immediato futuro fanno ben sperare anche alcuni studi di fase 1 che stanno «valutando l'utilizzo di nuove molecole con questa tecnologia». Attualmente, sottolinea Perrone, «abbiamo risultati molto incoraggianti per varie forme di neoplasie ad alta frequenza. La scommessa è riuscire ad ampliarli anche per tipologie di tumori più complessi come ad esempio il cancro al pancreas».

La “chemio smart”, rileva Perrone, «rappresenta dunque un passo avanti ed una “modernizzazione” della chemioterapia. È un progresso e non un tornare indietro, considerando che comunque la chemioterapia ha salvato un numero enorme di vite. Bisogna evitare preclusioni verso questo trattamento». Quanto alle conseguenze collaterali degli anticorpi coniugati, conclude il presidente degli oncologi, «vi sono effetti prima non registrati, come la possibile insorgenza di polmoniti interstiziali, ma si tratta comunque di patologie gestibili».

Dal recettore di farmaci antidiabetici nuove speranze per l'immunoterapia

Intanto, un nuovo, rilevante capitolo dell'immunoterapia contro il cancro potrebbe aprirsi grazie a uno studio italiano sul recettore Glp-1R: il bersaglio di farmaci ormai noti, come semaglutide ed altri agonisti Glp-1R, antidiabetici e anti-obesità con effetti salvacuore, e con potenziali futuri utilizzi anche contro alcolismo, malattie epatiche e renali. La ricerca, pubblicata su Cell Metabolism, è firmata da scienziati del Centro di ricerca pediatrico “Romeo ed Enrica Invernizzi” dell'Università Statale di Milano. Gli autori, annunciano dall'ateneo, hanno scoperto che «il recettore pancreatico Glp-1R, importantissimo nella cura del diabete e dell'obesità», da un lato «è in grado di controllare l'attività immunitaria nei linfociti T, prolungando la sopravvivenza dei trapianti», e quindi «limitandone il rigetto». Dall'altro lato «è emerso che, bloccando Glp-1R, si genera immunità antitumorale in un modello preclinico di cancro del colon-retto». Glp-1R, infatti, «agirebbe come checkpoint immunitario nei linfociti T». Lo studio indica dunque «una duplice funzione» di questo recettore: la sua stimolazione «prolunga la sopravvivenza del trapianto d'organo, limitando la risposta immunitaria e riducendo l'infiltrazione dei linfociti T negli organi trapiantati»; al tempo stesso, «il suo blocco genera un'immunità antitumorale».

Benché «saranno necessari ulteriori studi per determinare l'esatto meccanismo attraverso il quale l'antagonismo di Glp-1R esercita la sua attività antitumorale e per confermare l'importanza di questi risultati in un contesto clinico ben definito, la rilevanza di questo approccio - conclude Paolo Fiorina, professore di Endocrinologia in UniMi e direttore dell'unità di Endocrinologia e Diabetologia dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano - è che potrebbe aprire una nuova era dell'immunoterapia contro il cancro basata sull'uso dell'antagonismo di Glp-1R, in particolare per i pazienti che non rispondono alle terapie contro la proteina Pd-1, un recettore spesso bersaglio di immunoterapia che, una volta bloccato, stimola l'attacco del tumore da parte del sistema immunitario». La ricerca è stata sostenuta dalla Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi e condotta in collaborazione con Franco Folli, docente di Endocrinologia alla Statale e direttore dell'unità di Endocrinologia e Diabetologia dell'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, e con la statunitense Harvard Medical School.