Migranti. Ok del Senato all'accordo Italia-Albania. Perego: milioni in fumo
Controlli di polizia a una nave con i migranti
Il presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, monsignor Gian Carlo Perego, si scaglia contro l’accordo Italia-Albania sui migranti, ratificato dal Senato in via definitiva con 93 voti favorevoli e 61 contrari (nessun astenuto). Un’intesa che per l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio dimostra ancora una volta «l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa nel nostro Paese».
In una nota diffusa nel tardo pomeriggio, il presule ha ricordato che l’Italia è ancora «al 16° posto in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo rispetto al numero degli abitanti», parlando di 673 milioni di euro «veramente “buttati in mare” (le risorse destinate dal governo al progetto ndr.)». Il presidente della Fondazione Migrantes ha sottolineato l’urgenza di «tutelare gli ultimi della terra» e la necessità di un governo del fenomeno migrazioni, «che continua a crescere di anno in anno, anche a causa di politiche economiche che certamente non favoriscono – fatta eccezione per alcune briciole – lo sviluppo dei Paesi al di là del Mediterraneo». Senza contare che le risorse per delocalizzare il “problema” di chi fugge dalla propria terra, ha concluso Perego, «si uniscono ad altre: quelle per gli armamenti, cresciute del 3,7%, rispetto all’anno precedente, che hanno raggiunto nel mondo la cifra record di 2.240 miliardi di dollari (il livello più alto mai registrato secondo il Sipri), e quelle per finanziare conflitti nel mondo. Sono 56 gli Stati che nel solo 2022 si trovavano in situazioni di conflitto armato, 5 in più dell’anno precedente (stessa fonte ndr.), piuttosto che a costruire pace».
Il tema dei flussi è stato oggetto anche dell’informativa di Giorgia Meloni nel Cdm di ieri sera, in cui la premier ha rivendicato i risultati conseguiti dall’esecutivo, parlando di un calo degli sbarchi del 41%negli ultimi 4 mesi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ma, ha aggiunto, «dobbiamo insistere con le nazioni della regione del Mediterraneo allargato e dell'Africa Sub-Sahariana, per un metodo di lavoro condiviso» e «cooperando per colpire la rete dei trafficanti e aiutando le economie più fragili per rimuovere le cause che spingono a migrare».
La presidente del Consiglio ha però ammesso che la sfida, al momento, somiglia più a una «rincorsa continua», perché «contenere gli arrivi lungo una rotta porta all'attivazione di un'altra direttrice». E «se 5 mesi fa la nostra prima preoccupazione era la Tunisia – ha chiarito –, oggi lo è la costa della Tripolitania», assieme agli «arrivi dal Sudan a seguito del conflitto iniziato nell'aprile 2023» e a quelli dal Niger dopo «la decisione della giunta golpista di decriminalizzare il traffico di migranti». La diminuzione degli arrivi è tuttavia un «segnale di speranza» e rafforza l’idea che la direzione imboccata con il lancio del Piano Mattei e il progetto di una cooperazione «non predatoria» sia quella giusta. L’obiettivo è migliorare le possibilità dei Paesi di partenza e «tutelare in questo modo il diritto a non emigrare».
Per quanto riguarda Tunisia e Libia, c’è anche il tema della capacità di garantire la sicurezza interna ai due Stati, ma anche su questo le idee della premier sono piuttosto chiare. Il modello c’è già, quello del decreto Caivano, ma per esportarlo, ha spiegato Meloni avvertendo gli alleati, «c’è bisogno che tutto il governo» remi dalla stessa parte.
Nessun riferimento al patto Roma-Tirana, che invece è stato l’obiettivo preferito delle opposizioni per l’intera giornata, specie dopo le Parole di Perego. Per il Pd «l’intervento della Cei denuncia il fallimento della politica migratoria del governo». Mentre PiùEuropa immagina già «una foto opportunity di Meloni che pone la prima pietra di un Cpr in Albania», magari a scapito di «centinaia di milioni dei cittadini italiani sperperati per detenere persone che non saranno rimpatriate».
Il co-portavoce nazionale di Alleanza Verdi-Si, Angelo Bonelli, ha definito l’accordo «il simbolo di una barbarie politica con pochi altri precedenti nella storia», parlando di «una mossa dubbia anche sotto il profilo della gestione umanitaria dei flussi migratori». E Alessandra Maiorino del M5s ha invece denunciato il «furore autoritario nel metodo e ideologico nel merito che ha caratterizza l'esame di questo disegno di legge».