Referendum. La carta del Colle, rinvio alle Camere
Con le dimissioni di Matteo Renzi, in caso di vittoria del No, le istituzioni entrerebbero in terra incognita. I paralleli con il 2011, al di là della diversa personalità dell’attuale inquilino del Colle, non reggono. Le dimissioni di Renzi, a differenza di allora, non scaturirebbero dal venir meno della maggioranza in una delle due Camere come allora si verificò nel pieno di una drammatica sessione Finanziaria (sebbene non ci fosse stato un voto formale di sfiducia per Berlusconi) ma da una consultazione elettorale. Una vaga analogia, semmai, la si può trovare con le dimissioni di Massimo D’Alema nel 2000, quando l’ex lider maximo lasciò a seguito della sconfitta alle Regionali. «Ho ritenuto giusto, per un atto di sensibilità politica, e non certo per dovere istituzionale... », sottolineò con parole simili a quelle che corsi e ricorsi della storia potremmo ora udire in caso di sconfitta dall’attuale premier.
Che ha avvertito a chiare lettere che, in tal caso, non ci starà a galleggiare. Ma a ben vedere anche questo parallelo non regge. Perché D’Alema al tempo non era il leader del partito di maggioranza, allora Ds, guidato da Walter Veltroni. Invece, se Renzi, da sconfitto, si presenterà dimissionario al Quirinale sarà di nuovo lui, se non a dare le carte, a scegliere la carta da giocare, fra quelle che il mazziere del Colle gli darà. Tuttavia sbaglierebbe chi pensasse che il mite Mattarella mancherebbe di giocare il suo ruolo fino in fondo. In entrambi i casi. C’è anzi chi sostiene che la spinta verso le urne, da parte di Renzi, sarebbe ancor più irreferenabile in caso di via libera alla riforma. Sull’onda del successo - sostengono i suoi detrattori, con qualche ragione - sarebbe spinto a a tesaurizzare al più presto la nuova situazione, per liberarsi in un colpo solo di un Senato dagli equilibri precari e di deputati selezionati dalla segreteria Bersani. Ma è l’ipotesi vittoria del No il vero rebus in cui il Quirinale dovrà misurarsi, in assenza di precedenti. Come agirà, Mattarella decide di rivelarlo ai piccoli perché i grandi capiscano. Rivolgendosi a un gruppo di studenti delle medie ricevuti al Quirinale, spiega che il suo ruolo (da «arbitro che se la partita è corretta neppure si nota») lo svolgerà eccome.
Sebbene «il suo lavoro in larga parte non si veda perché non si fa con i proclami». Un lavoro fatto di «esortazione e suggerimenti, attraverso la persuasione ». Senza tagliare fuori nessuna forza politica, «per inseguire un sogno - spiega ai ragazzi -, che il Paese cresca sempre di più, sentendosi in una vera comunità». Dopo la contesa, riposte le armi nella faretra, Mattarella si appellerà quindi al senso di responsabilità di tutti, per evitare al Paese un trauma di quelli che i grandi giornali finanziari stranieri evocano in questi giorni e che il Colle si era sempre affrettato ad escludere, prima di scegliere la via del più stretto silenzio pre-elettorale. La via maestra, fra le carte che Mattarella porgerà a Renzi (accompagnandola con la sua «persuasione») sarà un governo rinviato alle Camere, soluzione che la prassi ricollega proprio a situazioni del genere, in cui ci sono ragionevoli motivi per ritenere che la maggioranza in Parlamento ci sia ancora. Renzi potrebbe accettarla come soluzione-ponte verso le urne. Non sarebbe un «galleggiare», ma al contrario una soluzione per affrettare la exit strategy, che - soprattutto in caso di sconfitta esigua - potrebbe essere un obiettivo ancora interessante per lui, per ottenere magari con un premio di maggioranza quel che le urne referendarie gli hanno negato.
D’altronde, occupandosi l’Italicum solo dell’elezione della Camera, una nuova legge elettorale sarà necessaria, se il No alla riforma farà rivivere il Senato attuale. In alternativa, se Renzi si dovesse sottrarre alla «persuasione», l’altra carta che Mattarella potrebbe offrirgli è il via libera a un esecutivo di scopo guidato da un uomo di sua fiducia, i nomi di cui si parla sono quelli di Franceschini, Padoan o Gentiloni. La terza ipotesi, il governo tecnico, è ancora meno probabile, perché significherebbe per Renzi farsi logorare da leader del Pd, che è ancora peggio di galleggiare. E poi la disponibilità di Forza Italia acquisita da Mattarella non vale per un nuovo governo, ma solo per riscrivere le regole, a partire dalla legge elettorale. Semmai, di larghe intese si potrebbe parlare con la nuova legislatura. Una volta che, modificato l’Italicum e ridotto il premio di maggioranza, in Parlamento ci fosse bisogno del centrodestra per fare il governo.