Intervista. La carabiniera Martina: così ho convinto la donna a non gettarsi dal ponte
La giovane carabiniere parla con la donna che aveva progettato il suicidio
Alla fine tutte e due sono esplose in un pianto liberatorio: la giovanissima carabiniera e la madre di tre figli che voleva buttarsi giù da un ponte. Tutto è accaduto tra le 10 e le 14 di lunedì, a Perarolo, in provincia di Belluno. Martina Pigliapoco, 25 anni, di Osimo, nelle Marche, da due anni e mezzo in servizio come primo incarico nella caserma di Carabinieri di Cortina d’Ampezzo, ha mediato per quattro ore con l’aspirante suicida, una donna trevigiana, che aveva già scavalcato la rete di recinzione del ponte. E alla fine l’ha convinta a compiere l’unica scelta giusta.
Le foto la ritraggono da sola sul ponte. Il graduato che l’accompagnava ha fatto andare avanti lei perché è una donna?
No, non è stato nulla di programmato. Dopo la prima segnalazione ci siamo precipitati all’imbocco del sentiero che porta al ponte tibetano di Perarolo. Lì abbiamo dovuto procedere a piedi su un sentiero un po’ in salita. Io sono stata la prima a scendere dell’auto e ho corso più velocemente del collega.
Sapeva che situazione avrebbe trovato?
Sì, la segnalazione era stata molto precisa. Ma non sapevo se tra la chiamata e il nostro arrivo sul posto la signora si fosse buttata giù. Il pensiero era questo: faremo in tempo?
Era stata addestrata per un caso del genere?
Nei corsi ci sono state date nozioni di mediazione. Ma, seppur generiche, il mio cervello me le ha fatte ritrovare tutte...
A cosa pensava quando si è avvicinata alla donna con un piede nel vuoto?
Pensavo che da un momento all’altro si sarebbe lasciata andare. O che poteva mettere un piede in fallo, e cadere davanti a me. Era davvero in una posizione precaria, a 80 metri di altezza dal suolo, con un piede poggiato su uno dei tiranti del ponte.
Poi lei si è messa a sedere sul ponte. Perché?
Perché la signora non voleva che si avvicinasse nessuno, e io volevo darle il segnale che me sarei stata ferma. E poi perché da seduta potevo consultare il telefonino.
Cosa faceva con il cellulare?
Ero in contatto con un collega mediatore arrivato da Belluno, Angelo, che mi dava consigli via WhatsApp. Ma non volevo che lei se ne accorgesse. Angelo è stato la mia salvezza, mi ha dato coraggio. Avevo anch’io bisogno di un supporto psicologico, era una situazione emotivamente estrema.
Avete parlato per 4 ore...
Per le prime 3 ore ho parlato solo io, lei piangeva e non replicava. Però voleva solo me su quel ponte, ha allontanato tutti gli altri.
Di cosa le ha parlato?
Ho affrontato tantissimi argomenti. Ho dato fondo alla mia fantasia. Ma era sostanzialmente un monologo, lei non voleva scoprirsi, rendersi ancora più vulnerabile. Poi anche su suggerimento del mio collega Angelo, ho iniziato a parlarle della famiglia e lei ha risposto, confidandomi i motivi che l’avevano portata a progettare il suicidio. Poi ha preso il suo cellulare e ha chiamato una persona cara, un familiare, e ha cambiato atteggiamento, ha iniziato a collaborare. La sua famiglia è stata l’ancora di salvezza, quella a cui si è aggrappata e che l’ha portata finalmente alla realtà.
Tutto è finito: la donna rinuncia al suo progetto e torna sul ponte - Ufficio Stampa Carabinieri
Senza entrare nei particolari, da dove nasceva la disperazione di quella donna?
Era molto scossa, in stato confusionale. Ha detto molte cose, mi ha confidato le sue preoccupazioni, i suoi problemi, piangeva e si disperava. Comunque, è stata una leonessa. È stata a un passo dal baratro per quattro ore di fila, e poi ha trovato la forza di tornare indietro.
Poi cosa è successo?
Quando ho capito che qualcosa era cambiato, mi sono avvicinata a lei, pian piano. Fino a toccarla. L’ho convinta a risalire, lei si è messa a cavalcioni della rete di protezione, si è aggrappata alla mia mano ed è venuta di qua, con una forza incredibile.
L’incubo era finito. Avete pianto?
Sì, ci siamo abbracciate ed entrambe abbiamo pianto. Poi abbiamo percorso insieme il ponte tibetano. Infine l’abbiamo portata in ospedale per accertamenti.
Perché ha scelto di diventare carabiniera?
Dopo le scuole superiori, non trovavo nulla che mi interessasse davvero. Poi mi è venuto questo desiderio, un po’ al buio per la verità perché non conoscevo nulla della vita militare.
Pensava che si sarebbe mai trovata in una situazione del genere?
Pensavo che avrei aiutato le persone. Ma una situazione così, proprio no.
Lei è anche una giovane sposa. Cosa le ha detto suo marito?
Che finalmente ho dimostrato a tutti quanto valgo. E che è fiero di me.