Le torri per le trasmissioni radiotelevisive sono come le bandierine del risiko: chi ha piazzato la sua ha preso il controllo di un territorio, e per sfilarglielo non è possibile piazzare una bandierina nei paraggi, bisogna andare a conquistare quella che c’è. Questo significa che comprare Rai Way, e le sue 2.300 torri, è una delle pochissime opzioni che Ei Towers ha a disposizione per crescere nel mercato italiano delle infrastrutture per le comunicazioni. Un mercato che è per sua natura un oligopolio, quando non un monopolio. Per tre motivi che la stessa Rai Way ha spiegato chiaramente nel documento con cui a novembre si è presentata a Piazza Affari: quasi tutti i siti adatti a ospitare torri per diffondere il segnale radiotelevisivo tra la popolazione «sono già nella disponibilità dei principali operatori»; se anche qualcuno trovasse un sito adatto dovrebbe faticare a ottenere i permessi per erigere una nuova torre, perché le norme sono naturalmente molto rigide per quanto riguarda l’inquinamento elettromagnetico e l’impatto sull’ambiente; infine occorre un’enorme quantità di capitale per costruire una torre e mantenerla e anche le reti televisive, clienti naturali di un’azienda che si occupa di infrastrutture
broadcast dovrebbero spendere molto denaro per cambiare fornitore. Dunque chi vuole espandersi non può che farlo conquistando uno dei suoi rivali. Ma non ce ne sono molti: quasi la totalità del mercato è fatto da Rai Way e da Ei Towers, che hanno ognuna circa 2.300 torri. È qui emerge il primo problema dell’offerta della società controllato da Mediaset: non si capisce come un’Autorità Antitrust potrebbe accettare che un soggetto – per di più legato al secondo gruppo televisivo del paese – controlli più dell’80% della rete di trasmissione e diffusione del segnale. Il secondo problema si potrebbe definire di logica. Il 'no' del ministero dello Sviluppo economico era scontato, inevitabile: è ovvio che la Rai non possa pensare di cedere al suo principale rivale il controllo di un’azienda da cui dipende completamente. Rai Way il 31 luglio scorso ha rinnovato il Contratto di Servizio con la Rai, un contratto che conferma alla società della rete l’esclusiva sulla trasmissione e diffusione dei canali dell’emittente di Stato, sia in Italia che all’estero. Il contratto dura sette anni, può essere rinnovato tacitamente due volte (per 21 anni complessivi) e prevede che la Rai paghi a Rai Way 175 milioni di euro all’anno più Iva, cifra che dal 2016 sarà ogni anno ricalcolata annualmente in base all’inflazione. Rai Way sarà così l’unico fornitore di rete alla Rai fino al 2035. Ed è dalla Rai che questa società incassa quasi tutti i suoi ricavi. In attesa del bilancio del 2014, che sarà approvato fra un paio di settimane, basta guardare alle stime che il gruppo ha presentato a novembre: nel 2014 dovrebbe essere arrivato da Viale Mazzini l’83% del fatturato (129 milioni di euro su 155). Gran parte del resto (il 74% dei ricavi non-Rai) arriva dai quattro grandi operatori telefonici, che pagano Rai Way perché ospiti le loro antenne sulle sue torri. Telecom, Vodafone, H3g e Wind hanno già le loro torri, molto più numerose di quelle di Rai e Mediaset, ma sono tralicci bassi, adatti solo in un qualche centinaio di casi alle trasmissioni radiotelevisive. L’accesso alle torri
broadcast continua a rappresentare per le compagnie telefoniche una strada importante per il rafforzamento della rete web a banda larga nazionale. Nello stesso tempo, però, i tralicci per i telefonini – che danno la copertura capillare del segnale nelle nostre città – sono oggi un mercato più redditizio di quello della rete
broadcast. E qui potrebbe nascondersi la reale intenzione di Ei Towers che, nella versione raccontata ieri dal
Corriere della Sera, potrebbe avere preparato l’operazione Rai Way con l’idea di mobilitare le banche e avere già pronto l’esercito finanziario per dirottare (con maggior successo) i suoi progetti di espansione sui 16mila tralicci che Telecom Italia sta per collocare in Borsa.