Il femminicidio di Padova. Dopo Giulia: a scuola di emozioni e rispetto
Una gigantografia di Giulia davanti al municipio di Vigonovo (Padova)
Oggi sapremo quali sono le iniziative che il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha intenzione di introdurre nelle scuole per prevenire e contrastare la violenza sulle donne, dopo la tragedia della morte di Giulia Cecchettin, uccisa dall'0ex fidanzato Filippo Turetta. Ben vengano le ore – ma anche i giorni o le settimane e perché non i mesi – di educazione all’affettività introdotte d’imperio: non basteranno, ma male non faranno. Ne sarà valsa la pena se anche un solo studente saprà trattenere un’offesa, gesto o parola. Adesso o più in là, quando sarà un uomo (non solo un maschio). Se anche una sola studentessa imparererà come reagire a un’offesa.
«Nelle classi delle scuole medie inferiori e superiori ci presentiamo in due. Oltre a me, che ho alle spalle studi di pedagogia, è presente una psicologa. Se dobbiamo affrontare anche il tema della sessualità, diventiamo un trio, con un medico»: Barbara Baffetti è il direttore didattico del progetto “Rispettiamoci”; scrittrice, ha al suo attivo libri per adulti e bambini, il prossimo – Educare alle differenze. Alla ricerca dell’Io, del Tu, del Noi – in uscita prossimamente per i tipi di San Paolo. “Rispettiamoci” è «un percorso di educazione all’emotività. I ragazzi faticano a nominare le emozioni, soprattutto le difficoltà che le riguardano. Questo è bello, perché ci descrive adolescenti convinti che quel che è legato agli affetti non possa che essere positivo. Ma è anche brutto – spiega Baffetti – perché testimonia la loro grande fragilità». Una fragilità insita nella convinzione che in una coppia non sia possibile il dissidio, il dolore. E la conseguente difficoltà di far fronte alle emozioni negative quando si presentano. «I ragazzi si pensano parcellizzati, il corpo, per loro, è qualcosa di a se stante, separato dalla persona. Faccio un esempio», propone la pedagogista. «Prendiamo un bacio. Darlo, riceverlo, persino rubarlo non è un problema anche in mancanza di qualsiasi coinvolgimento emotivo». Il corpo è una parte a sé, che risponde a meccanismi tutti suoi. Il proprio corpo ma, ne discende, anche quello altrui che si può baciare, accarezzare con delicatezza o palpare senza rispetto pensando che baci, carezze o palpate non susciteranno reazioni al di sotto dell’epidermide, non lasceranno traccia nel profondo della coscienza. Qualche ora di educazione all’affettività (o all’emotività o alla sessualità) risolverà il problema: «Non dico questo, però penso che la scuola abbia un ruolo importante. Ci sono famiglie attrezzate per dare ai figli l’aiuto di cui hanno bisogno e altre no. L’intervento di un esperto può essere d’aiuto. Va da sé – prosegue Baffetti – che bisogna lavorare su molti fronti, che tutte le agenzie educative devono essere coinvolte sia quelle formali che quelle informali».
Luciana Bertinato ha insegnato per una vita e non sapendo stare lontana dai bambini e dalla scuola continua a frequentarli diffondendo il messaggio delle “Carovana dei pacifici”: in questi anni, più di diecimila bambini di tante scuole italiane hanno lavorato in classe sui conflitti e sulle diverse modalità nonviolente per superarli. «Il punto – dice – non è l’educazione alla sessualità o all’affettività. Quel che manca è l’educazione alla comunità. Al bene collettivo. Siamo un “noi”. Serve uno sguardo più largo che ci consenta di superare l’individualismo, la corsa all’effermazione del sé a ogni costo. Ma prima dobbiamo farci una domanda: che esempio siamo noi adulti? Siamo adulti significativi? Introdurre i percorsi di educazione all’affettività è solo una scorciatoia, un modo superficiale di affrontare il problema, frettoloso. Faccio per far vedere che faccio». Le educazioni a scuola sono in via di moltiplicazione: da quella alla cittadinanza a quella alimentare, passando per quella ambientale. «L’educazione è una e tutto è educazione. È trasversale a tutte le discipline e ogni disciplina è uno strumento. Certo, bisogna saperlo usare e non è facile. Però mette i brividi chi crede che la soluzione si possa estrarre dal cappello».
«Ogni volta che si verifica un fatto grave come l’omicidio di una ragazza nel fiore della vita, ci si affretta a trovare soluzioni tampone a questioni sostanziali. Come è l’educazione»: Ferdinando Ciani insegna alla “Scuola del gratuito”, voluta da don Oresti Benzi. Pionieristica nel mettere al centro non la prestazione a tutti i costi ma il valore della collaborazione e lo sviluppo delle potenzialità, piccole o grandi, di ciascuno studente. «Alla scuola del gratuito è già una prassi l’“educazione all’amore” – spiega – sebbene questo termine, amore, a volte abbia un che di desueto. Però, non è che se spieghi matematica non insegni anche l’affettività... Tutto dipende da come insegni la matematica, se con i ragazzi ti poni in un’ottica di rispetto e di ascolto, se li fai partecipi della didattica, se dialoghi con loro».
Che insegnando la matematica si prevendono i femminicidi è difficile da credere: «Insegni uno stile nella relazione, dove il dominio non ha cittadinanza». Neppure l’autorità del maestro sull’allievo, dell’adulto sul bambino? «Non ce n’è bisogno. Al termine educare non faccio mai seguire il moto a luogo ma il complemento oggetto. Preferisco dire – spiega Ciani – educare la pace, educare la sessualità, educare la cittadinanza... Con arte maieutica bisogna tirar fuori dai ragazzi queste cose che ciascuno di noi ha dentro di sé. Le materie, anche la matematica, raccontano la vita, e da lì passa tutto il nostro essere. A mio parere non ha nessun senso la distinzione tra sessualità, relazione, affettività. Né apprezzo la psicologizzazione dell’educazione».