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Intervista. Schlein: «L’Ue non passi all’economia di guerra»

Roberta D'Angelo domenica 19 maggio 2024

Elly Schlein

Elly Schlein si gioca tanto l’8-9 giugno. Perciò quella della segretaria del Pd è una campagna “totale”, sia dal punto di vista delle tappe elettorali sia dal punto di vista dei contenuti, delle sfide con gli altri leader. «Io sto girando l’Italia da Nord a Sud – spiega la leader dem –, e non faccio altro che parlare di temi, quelli che riguardano le necessità soprattutto dei più fragili. L’Europa è a un bivio e siamo chiamati a scegliere in che futuro stare: da una parte abbiamo un nazionalismo pericoloso, quello di chi si riempie la bocca con “Prima gli italiani” ma poi non fa nulla per risolvere i loro problemi, anzi li aggrava. Dall’altra chi come il Pd si batte per un’Europa più sociale, quella del salario minimo, della garanzia per l’infanzia, quella che abolisce gli stage gratuiti con cui non paghi un affitto. Un’Europa più verde, che guidi una conversione ecologica giusta accompagnando famiglie, lavoratori, imprese e agricoltori con più risorse e strumenti. Un’Europa degli investimenti comuni e non dei paradisi fiscali. Un’Europa federale che superi l’unanimità e che diventi pienamente un progetto per la pace, non un’economia di guerra».

Von der Leyen parla di coalizione di forze pro Europa. La ritiene fattibile?

Il campo socialista e democratico, dentro il quale il Pd è uno dei protagonisti, si presenta con il proprio programma e il proprio candidato alla presidenza della Commissione, Nicolas Schmit. E ha l’ambizione di vincere queste elezioni e di portare Nicolas ad essere presidente. Pochi giorni fa ero a Berlino, insieme a tutti i partiti europei del Pse, per riaffermare la nostra idea di un’Europa più sociale, più coesa e unita, in grado di affrontare le grandi sfide del nostro tempo, dal lavoro ai diritti e all’ambiente e che non dimentichi la sua vocazione alla pace. Sull’europeismo del nostro campo non credo ci possano essere dubbi. Il lavoro in Parlamento europeo, e quello di Schmit come commissario, lo dimostrano. Suggerirei invece a chi prospetta schemi politici già ora, prima del voto, di fare attenzione a chi si professa europeista solo a parole e per convenienza. Vedremo i risultati. Una cosa è certa: noi non scenderemo mai a patti con i partiti di estrema destra e nazionalisti, che in realtà vogliono la fine dell’Europa unita. Vedo ancora, invece, ambiguità su questo tema anche dentro i Popolari e liberali europei.

Le viene rimproverata la scelta di candidati “pacifisti”. Sono in contrasto con la linea del Pd?

Credo che non sia corretto ridurre il riemergere delle guerre, un fatto drammatico e delicatissimo, a una presunta contrapposizione tra pacifisti e guerrafondai. Rivendico il fatto che siamo un partito dove si discute, ci si confronta anche su posizioni diverse, e dove alla fine si trova una sintesi sul presupposto che tutti vogliamo la pace. La nostra linea è chiara e continuerà ad esserlo. Di fronte alla brutale invasione russa dell’Ucraina la nostra posizione è stata dall’inizio di sostenere il popolo ucraino per esercitare il suo diritto alla legittima difesa e arrivare a una pace giusta. Contemporaneamente pensiamo che l’Europa sia chiamata a svolgere uno sforzo diplomatico più incisivo per far cessare il conflitto. La sua assenza va contro la sua identità di costruttrice di pace. Su quello che sta accadendo in Medio Oriente siamo altrettanto chiari. Da ottobre la richiesta che stiamo ossessivamente ripetendo sta in tre parole: cessate-il-fuoco. E su questa posizione siamo riusciti a portare anche il governo. Un cessate il fuoco per fermare il massacro di civili , per liberare tutti gli ostaggi israeliani e portare tutti gli aiuti umanitari necessari alla popolazione palestinese fatta per quasi la metà di giovani che non hanno niente a che fare coi terroristi di Hamas. Bisogna fermare la follia di Netanyahu di questo attacco a Rafah che si tradurrà in un’ecatombe. Anche in questo caso l’Italia e l’Europa possono e devono assumere una forte iniziativa per far ripartire il processo di pace verso i due popoli e due stati, che passa anche dal riconoscimento europeo dello Stato di Palestina.

I temi e i programmi latitano in questa campagna elettorale. Conte attacca le finte candidature. C’è un valore aggiunto nella corsa dei leader?

Io mi sono messa a disposizione del partito dove me l’ha chiesto per dare una mano, sapendo che più crescerà il consenso al Pd e più potremo portare in Europa una delegazione di persone serie, autorevoli, competenti, delle quali ora più che mai c’è un gran bisogno. Ho detto da subito la verità, che il mio posto è qui, e sarò contenta se facendo in prima linea questa campagna potrò convincere ad andare a votare chi magari pensava di astenersi e chi vuole rafforzare il nostro progetto di cambiamento del Pd e del Paese. Come dicevamo prima, queste elezioni sono davvero importanti per l’Italia e per il futuro dell’Europa in un mondo in subbuglio. Votare e scegliere è un’occasione che spero la gran parte dei cittadini e delle cittadine coglieranno.

Il duello in tv è saltato. Su cosa avrebbe puntato?

Avrei puntato sul fare chiarezza, smontando la propaganda che circonda i provvedimenti del governo e contestandone l’inefficienza; un governo che dopo un anno e mezzo ha peggiorato le condizioni economiche e sociali delle persone. E sarebbe stata un’occasione utile per ribadire le proposte del Pd sulla sanità, sui salari, sul clima e sull’Europa federale.

La decisione di manifestare il 2 giugno non confligge con una festa, quella della Repubblica, che vede protagonista il capo dello Stato?

Il 2 giugno è la festa di tutti e lungi da noi mettere in discussione questo. La nostra iniziativa, come abbiamo già detto, non vuole ovviamente sovrapporsi in alcun modo con le celebrazioni ufficiali. Infatti sarà lontana sia nel tempo sia nello spazio. Festeggeremo la Costituzione antifascista e l’ideale dell’Europa Federale. Ma sarebbe impossibile per noi festeggiare fingendo che non sia in atto un tentativo di stravolgere la Repubblica parlamentare e minare l’unità nazionale repubblicana. Quindi il punto non è chiedersi perché il Pd sarà in piazza anche il 2, ma perché la destra si arroga il diritto di cambiare la forma di governo a colpi di maggioranza. Pensiamo che un partito che porta nel suo nome il termine “democratico” abbia il dovere di promuovere e difendere le fondamenta del nostro vivere insieme.

La linea di chiusura totale al premierato non è controproducente? Era impossibile lavorare per migliorare la riforma?

Per dialogare bisogna essere in due e fino ad oggi il governo è andato avanti come una schiacciasassi, sordo a ogni appello. La prima volta che ci hanno convocato, che è stata anche l’ultima, abbiamo portato proposte concrete perché siamo riformisti: cambiare la legge elettorale, introdurre la sfiducia costruttiva, limitare i decreti d’urgenza, rafforzare leggi di iniziativa popolare, approvare una legge sui partiti e una sul conflitto di interessi. Non ne hanno considerata nemmeno una. Non possiamo che condividere le parole di Liliana Segre e continueremo a batterci contro un modello che non esiste in nessun Paese al mondo, perché mina l'equilibrio fra i poteri ma che viene spacciato con gran furbizia come “più democrazia”. Lo slogan ingannevole dell'elezione diretta è “come, non volete decidere voi chi governa?”. Ma dietro quel “decidete voi” c’è un gigantesco “decido io per voi”. La democrazia non è essere liberi solo una volta ogni cinque anni di acclamare un capo con un Parlamento eletto a suo traino: è poter incidere ogni giorno sulle scelte dei propri rappresentanti in Parlamento che con la propria autonomia possono anche correggere quelle del governo.