Migranti. Accoglienza a rischio, effetto domino. Perego: «Basta parole, si agisca»
Migranti in fila, in attesa di essere trasferiti con l’autobus da Porto Empedocle
Per capire cosa accadrà in autunno sul fronte migratorio, bisogna partire da Porto Empedocle, in Sicilia, luogo simbolo dell’emergenza sbarchi in questa metà d’agosto. «Siamo il secondo punto d’approdo per chi arriva dal mare, dopo Lampedusa» spiega ad Avvenire
il sindaco Calogero Martello, che in questi giorni ha dovuto gestire «un flusso abnorme di persone. Li portano qui con la nave di linea e, grazie al lavoro encomiabile di prefettura e forze dell’ordine, siamo riusciti a superare una situazione di grande difficoltà- racconta il primo cittadino siciliano, eletto con una lista civica di centrodestra -. Da noi non c’è separazione netta tra porto e città, così quando abbiamo dovuto gestire 1.200 persone all’addiaccio, si è creato un collo di bottiglia pericoloso. È difficile trovare autobus per trasferire queste persone dalla banchina ad altre località. Per questo noi potremo solo occuparci, anche in futuro, di quel che abbiamo sempre fatto: identificare persone nel giro di 36-48 ore, prima che lascino la città». E la decisione del governo di fare di Porto Empedocle l’hotspot per la Regione Sicilia? «Non cambia nulla - precisa il sindaco -. Sposteremo le attuali tensostrutture alle porte della città, con dei moduli prefabbricati, e sistemeremo i richiedenti asilo per una giornata e mezza, massimo due. Ma non siamo attrezzati per l’accoglienza, perché siamo centro di passaggio. Non possiamo permetterci di avere migranti in pianta stabile».
Ieri lo sgombero a Porto Empedocle, dopo il picco di arrivi e le proteste iniziali di alcuni commercianti e cittadini, è proseguito per tutta la giornata, con bus in partenza per Lombardia, Piemonte, Campania e Umbria. «Non ci sarà alcun centro d’accoglienza - ripete Martello -. Ho ricevuto rassicurazioni in tal senso e vigilerò, ora e nei prossimi mesi».
La strategia dello “svuotamento” progressivo delle strutture, che prima si riempiono all’inverosimile e poi vengono gradualmente alleggerite, sembra essere l’unica soluzione possibile in questa fase di emergenza. Tra Ferragosto e la giornata di ieri ci sono stati 18 sbarchi a Lampedusa: gli ultimi 4 hanno riguardato 155 migranti salpati da Sfax e soccorsi dalla Guardia costiera. Sull’isola, in contrada Imbriacola, c’erano nel pomeriggio 2.278 persone. «Quanto sta accadendo in queste ore sulle coste siciliane dimostra che il sistema di accoglienza sta implodendo» ha sottolineato nel frattempo la deputata siciliana del Movimento Cinque Stelle, Ida Carmina.
La domanda è: quanto potrà durare tutto questo? Spostare il problema altrove può funzionare a breve termine, ma la sensazione è che visioni di corto respiro siano destinate a fallire. «Molte persone sono costrette a lasciare i centri per fare posto a nuovi migranti che stanno arrivando - ha osservato ieri monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, intervenendo a Radio Vaticana-Vatican News -. Ognuno ha bisogno di essere tutelato nella sua dignità e questo è un impegno che noi stiamo portando avanti, aprendo nuove case e centri». Nel frattempo, oltre 2mila migranti morti in mare «interpellano la nostra coscienza: non è più tempo di parole», bisogna fermare «una tragedia che sta diventando sempre più un massacro».
Sul territorio, in particolare, si guarda con grande preoccupazione al combinato disposto tra picco di sbarchi e trasferimento dei migranti dai Cas. E se il sindaco di Ancona, Daniele Silvetti, anch’egli di centrodestra, che ieri ha assistito allo sbarco della Humanity 1 con 106 migranti a bordo nella città marchigiana, ha ribadito che «il disagio c’è, perché non abbiamo una disponibilità infinita», sulla terraferma si ragiona già sull’effetto domino possibile per chi finora è stato dentro il perimetro dell’ospitalità organizzata. «C’è un grande problema di programmazione e di gestione dei flussi migratori» riflette Marcello Volta, responsabile comunicazione del Ciac, il Centro immigrazione asilo cooperazione internazionale di Parma e provincia, una Onlus che insieme a realtà laiche e cattoliche gestisce due centri Sai, il Sistema accoglienza integrata a Parma e Fidenza. «Con la nuova circolare del Viminale, le persone che finora restavano dentro i Cas fino a quando non arrivava, su carta, il permesso di soggiorno, verranno buttate in strada. È facile prevedere una valanga di ricorsi da parte delle associazioni che seguono i migranti.
Nel limbo, secondo le stime del Ciac, finiranno 1.500 migranti soltanto sulla città di Parma. «perché poi va considerato un altro vulnus nascosto nella normativa: quello della cancellazione o quasi della “protezione speciale”, previsto dal cosiddetto “decreto Cutro”. Tante persone che si trovano da diversi anni in Italia si troveranno improvvisamente irregolari».