Attualità

Veneto. L’odissea degli sfollati ucraini d’Italia

Daniela Fassini venerdì 22 novembre 2024

Gli sfollati ucraini costretti a lasciare il centro di Bibione

Non vogliono lasciare gli amici e i compagni di classe che hanno conosciuto e frequentato in questi due anni e mezzo di permanenza in Italia. Non vogliono andare in un’altra città, dove non conoscono nessuno e devono ricominciare tutto da capo. Eppure a gennaio lo dovranno fare. Forse saranno trasferiti in altre città del Veneto, ma si parla anche di un centro lontano mille chilometri, in Puglia. L’alternativa è tornare in patria o uscire dal sistema di accoglienza. È la realtà di 32 “sfollati” ucraini (11 famiglie con 10 minori) attualmente ospitati nel centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Bibione, nel Veneziano.

«Il centro sarà chiuso e a gennaio dovranno essere allontanati. Fra loro ci sono anche casi particolari, legati alle condizioni di salute di alcuni ospiti» racconta Roberto Soncin, presidente Noi Migranti (Organizzazione di Volontariato) che, assieme alla comunità locale degli immigrati ucraini, si occupa degli sfollati sin dai primi arrivi , a marzo 2022.

Fra loro c’è Sergii, ha 65 anni, è al Cas di Bibione da maggio 2022. A fine 2022 ha subito un importante intervento d’urgenza al cuore presso l’Ospedale di Udine. A settembre di quest’anno ha chiesto il permesso di andare in Ucraina per curarsi i denti anche perché non può permettersi i costi del dentista in Italia ed è ritornato a fine mese. Venti giorni dopo gli arriva la comunicazione della Prefettura che ha perso il diritto all’accoglienza perché se ne è andato senza autorizzazione. Poi c’è Karina, colpita da neoplasia mammaria in fase avanzata e in cura ad Aviano dove è stata anche operata. «Tutti e tre erano pronti per essere accolti dalla Croce Rossa di Jesolo ma il trasferimento non è andato in porto perché la famiglia era in possesso di un cane». Fra gli sfollati c’è anche il piccolo Leonid. Ha sette anni ed è affetto da autismo. Vive con la mamma e la sorella di 14 anni. «Grazie all’impegno dei volontari e della scuola primaria di Bibione ha frequentato la prima elementare e ora è iscritto alla seconda» prosegue Soncin.

Eppure sembra che nessuno li voglia. La vicenda ha portato quattro deputati di Italia Viva a presentare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi: il futuro di 32 rifugiati è ancora tutto da scrivere.

Intanto però non si sono persi d’animo e, carta e penna alla mano, hanno deciso di scrivere alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. «Da mamma dovrebbe capire meglio la nostra situazione» spiega la portavoce del gruppo di sfollati dal centro veneziano. «Abbiamo davanti a noi due scelte – scrivono nella lettera indirizzata a Palazzo Chigi – spostarsi in altre strutture pubbliche oppure trovare un alloggio a nostre spese. A dire la verità ne rimangono altre due ancora: trasferirci in altre nazioni dell’Unione europea o ritornare in Ucraina dove le città da dove proveniamo sono costantemente sotto bombardamento». Molti di loro sono anche lavoratori stagionali e non vorrebbero perdere quelle poche opportunità di guadagnare qualcosa. «In Veneto gli spazi di accoglienza sono più di 8mila complessivi tra richiedenti asilo e sfollati ucraini – aggiunge Soncin – ma questi ultimi sono andati via quasi tutti: hanno uno status europeo, non devono chiedere asilo, l’Europa li chiama sfollati. In realtà in questi due anni e mezzo non è stato fatto quasi nulla di specifico per garantire loro un’accoglienza adeguata».

I rifugiati ucraini in realtà sono gestiti dalla Protezione civile. Attualmente in Italia ci dovrebbero essere circa 3.400 persone nell’accoglienza diffusa della protezione civile. «Molti se ne sono andati altrove – spiega Filippo Miraglia, portavoce Tavolo Asilo e responsabile immigrazione Arci - in altri Paesi in Ue, ma molti altri sono già tornati anche in Ucraina e in Polonia per essere più vicini alle proprie città».

A breve il governo dovrebbe fare una legge per trasferire la gestione dei profughi ucraini dalla protezione civile all’accoglienza ordinaria, aggiunge Miraglia «questo dovrebbe accadere nei primi sei mesi del 2025. E siccome si tratta di persone che hanno una protezione temporanea - sono soprattutto mamme con bambini - dovrebbero rientrare tutti nella Rete Sai (Sistema accoglienza integrazione). Il ministero dell’Interno deve così aumentare i posti ma anche i fondi asilo». Ad oggi sono presenti 37mila persone nel sistema “Sai”.

«Questi di Bibione sono tra gli ultimi ucraini rimasti in Italia ed è comprensibile che se ne siano andati da altre parti – aggiunge Soncin – Nessun vero aiuto economico per chi ha cercato di sistemarsi in modo autonomo (i 300 euro al mese sono riconosciuti solo per i primi 3 mesi di presenza in Italia), pochi posti di accoglienza nelle strutture pubbliche».

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