Italia bollente. Contro il caldo alberi in città, case più fresche e nuovi ritmi
Turisti a Torino, sotto la Mole Antonelliana, con l'ombrellino per cercare refrigerio dal caldo
Il caldo ci cambia la vita. Sveglie all’alba e lavori notturni. Ma anche chiusure prolungate di negozi e musei nelle ore centrali e aperture anticipate la mattina, quando fa più fresco. La giornata degli italiani potrebbe avere ritmi diversi in futuro. C’è una questione temperature estreme con la quale l’uomo deve iniziare a fare i conti. Con il cambiamento climatico in atto le ondate di calore saranno sempre più frequenti . Uno studio di Save the children stima che i nati nel 2020 dovranno affrontare un numero sette volte superiore di ondate di caldo torrido rispetto ai loro nonni. Allora bisognerà correre ai ripari e adattarsi. Ma come difendersi al meglio?
«Prima di tutto dipenderà dalla durata del picco massimo – spiega Luca Mercalli, climatologo – se è un solo giorno di grande caldo non è importante. Tutto cambia se le temperature elevate durano settimane». La nostra vita ne sarà influenzata. A cominciare dalle nostre case. «Quando l’ondata di calore dura 15 giorni o più, il caldo penetra nei muri e aumenta il disagio soprattutto notturno – prosegue Mercalli – Quindi sarà importante avere una casa con un opportuno isolamento termico. La riqualificazione energetica delle case rimane fondamentale per il Paese».
L’ondata di calore si riflette anche sul mondo del lavoro, in particolare su alcuni settori come agricoltura, edilizia, pronto intervento, asfaltatura strade ma anche di chi lavora nell’ambito dei servizi raccolta rifiuti. «Tutti questi mestieri sono esposti a un rischio professionale in più perché di caldo si può morire, in particolare sotto sforzo». L’attività professionale più a rischio dovrà essere regolata in base alle temperature e con un sistema di allerta integrato che ci indicherà ad esempio di cambiare gli orari di lavoro. «Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a un’ondata di calore, ne abbiamo avute altre – aggiunge il climatologo –. Ma ogni volta, come è anche successo per le alluvioni, passata l’emergenza non ne parliamo più. Ci vorrebbe una programmazione a lungo termine».
A parte le prescrizioni di comportamento individuale che prevedono ad esempio di non uscire nelle ore più calde o di coprirsi la testa e di bere due litri di acqua al giorno «è ovvio che sul lungo periodo la nostra vita cambierà».
Cambierà anche a tavola. Non ha dubbi, Piero Lionello, professore di climatologia all’università del Salento e affiliato Cmcc (il Centro euro mediterraneo sui cambiamenti climatici, ndr). «Le ondate di calore alterano le attività del raccolto e di conseguenza quello che vedremo sulla tavola – aggiunge Lionello – però sono anche una delle più evidenti manifestazione del cambiamento climatico, con l’aumento dell’intensità e della durata ci pongono di fronte al fatto che stiamo alterando il clima». Non basta solo cambiare l’orario di ingresso al Pantheon, ad esempio, «anche se questo riguarda solo il tempo libero – prosegue – ma ci sono attività lavorative ad esempio all’aria aperta che possono essere drasticamente influenzate. Ci sono studi che dimostrano come la resa dei lavoratori diminuisca durante le ondate di calore che, fra l’altro sono anche molto energivore, cioè hanno un costo energetico elevato e peggiorano il nostro sistema non solo terrestre ma anche del mare».
Eppoi c’è tutta una questione di rischi che dobbiamo imparare a gestire: oltre al rischio sanitario, ad esempio, c’è il rischio incendi. «C’è anche il rischio degli alimenti che con il gran caldo possono deteriorarsi. Se vogliamo limitare tutti questi rischi dobbiamo ridurre l’uso dei combustibili fossili». Mitigazione e adattamento sono le parole-chiave che ricercatori, scienziati ed esperti ripetono come un mantra. «Siamo già a un aumento della temperatura media globale di 1,1°C quindi il rischio che si teme è già verosimile. Noi come esseri umani percepiamo le ondate di calore estive ma ci sono anche quelle invernali che sono più dannose per molti ecosistemi perché comportano degli squilibri».
Ma c’è anche un tema urbanistico. Perché nelle città si registrano dai 3 ai 5 gradi in più di calore rispetto alla campagna.
«Le abbiamo costruite per altre temperature – spiega Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano – con la “pelle” fatta di pietra, asfalto e cemento che peggiorano la qualità della nostra vita, sono tutti materiali caldi. Dobbiamo modificare la “pelle” delle nostre città. Si calcola fra i 5 e gli 8 gradi di differenza tra una piazza asfaltata e un’area verde con magari dell’acqua, come una fontana».
La soluzione? C’è. Basta iniziare a piantare più alberi e a “depavimentare” i parcheggi ad esempio. «Trasformare i parcheggi davanti alle scuole, agli ospedali e dove possibile in terra battuta. Tutto questo, insieme agli alberi può aiutare ad abbattere la temperatura. Due ingredienti che fanno la differenza». Lo stanno già facendo in altre città europee come Vienna e Barcellona. L’Italia è più indietro. «Queste due città stanno già da tempo lavorando sui cambiamenti climatici – aggiunge – hanno già attuato piccoli interventi di depavimentazione perché la terra abbandonata fa meglio alla salute dell’uomo».
Come ci si arriva? «Anno per anno facendo un piano di mitigazione del calore che riduce la fascia impermeabile di asfalto e cemento e aumenta la parte verde delle nostre città – sottolinea – è fondamentale anche per le grandi precipitazioni, per scongiurare le alluvioni. Paradossalmente dovremmo tornare alle città di 100 anni fa. I sindaci più virtuosi si vantano di risolvere il problema delle buche delle strade ma non è più virtuoso il sindaco che mette l’asfalto è virtuoso il sindaco che lo toglie». (Daniela Fassini)
Maltempo, tempeste e grandine nel Nord Est
L’hanno chiamata “Vaia 2.0”. «Non è così. Vaia, 4 anni fa, ha provocato 3 miliardi di danni nel Nord Italia, non so se in questo caso arriveremo a qualche decina di milioni di danni, tra il Bellunese, il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia» afferma l’assessore veneto alla Protezione Civile, Gianpaolo Bottacin. «Non abbiamo avuto, per fortuna, nemmeno morti e feriti. Però è indubbio che l’evento debba essere catalogato fra quelli dei cambiamenti climatici. Con raffiche di vento a 140 km orari, poca pioggia, ma tanta tempesta» riferisce.
Ed ecco gli abeti di Campolongo di Cadore, quelli rimasti in piedi dalla tempesta di Vaia e risparmiati dal bostrico, cadere come birilli. Case scoperchiate, macchine fracassate dalle piante schiantate. In Comelico ma anche dall’altra parte della provincia, in Agordino ed in Zoldano. Oltre un centinaio gli interventi dei vigli del fuoco, anche per liberare i passi dolomitici dagli alberi che ne impedivano il transito.
Più di 100 gli interventi dei vigili del fuoco per la tromba d’aria nel Bellunese - Ansa / Vigili del fuoco
La “bufera” che ha indotto il presidente della Regione Luca Zaia a deliberare lo stato di emergenza regionale è arrivata dal Trentino Alto Adige. Nella sola provincia di Bolzano sono stati contati 4.500 fulmini e sono stati registrati fino a 30 millimetri di pioggia per metro quadrato. Il tutto a seguito delle ondate di calore.
«A causa dei cambiamenti climatici sono sempre più frequenti anche in Alto Adige. Finora nel mese di luglio si sono già verificate due fasi di calore più brevi, con temperature fino a quasi 37 gradi. I climatologi concordano sul fatto che queste ondate di calore diventeranno più frequenti e più forti in futuro» spiega il meteorologo Dieter Peterlin. Le temperature elevate fanno aumentare l’energia nell’atmosfera, di qui temporali più frequenti e più forti.
In Friuli Venezia Giulia, danni analoghi, con case scoperchiate, migliaia di piante divelte (una anche a Monfalcone, caduta su un’auto: salva l’autista), un treno con 150 passeggeri bloccati per 3 ore tra Gemona e Stazione La Carnia. Le previsioni dell’Arpav del Veneto consentono comunque di tirare un sospiro di sollievo: «La terza ondata di caldo anomalo di questa prima parte dell’estate 2023 sta cominciando ad attenuare la sua morsa a partire dalle zone montane».
Nel pomeriggio dell’altro ieri c’è stato un primo lieve cedimento ai bordi più settentrionali del campo di alta pressione che da diversi giorni staziona sul Mediterraneo ha generato una prima fase di instabilità a partire dalle zone alpine. I temporali sono risultati di forte intensità sia per rovesci che per grandine, ma soprattutto per le forti raffiche di vento associate che hanno provocato diversi danni. (Francesco Dal Mas)