Istat. L'Italia senza figli: persi altri 18mila nati in un anno
Sempre meno, sempre più giù. L'Italia senza figli - e senza futuro - segna un nuovo, terribile minimo storico dal 1861. A certificarlo l'Istat, che corregge al ribasso le stime già negative sul 2018 nel bilancio demografico e mette nero su bianco gli effetti dell'inverno demografico che travolge ormai da anni, e senza sosta, il nostro Paese.
Continua infatti il calo delle nascite in atto dal 2008. Già a partire dal 2015 il numero di nascite è sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si è registrato un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, mai così pochi dall'Unità d'Italia. La diminuzione delle nascite è di oltre 18mila unità rispetto al 2017 (-4,0%). Il calo? In tutte le ripartizioni ma è più accentuato al Centro (-5,1% rispetto all'anno precedente). La diminuzione delle nascite nel nostro Paese, secondo l'Istat, si deve principalmente a fattori strutturali: si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta, da un lato, all'uscita dall'età riproduttiva delle generazioni molto numerose nate all'epoca del baby-boom, dall'altro, all'ingresso di contingenti meno numerosi a causa della prolungata diminuzione delle nascite osservata a partire dalla metà degli anni Settanta. E poi gli stili di vita, le dinamiche del lavoro, la scarsità di investimenti sulla famiglia.
L'acquisizione di cittadini stranieri rallenta il calo demografico italiano. Secondo il bilancio dell'Istat del 2018, la diminuzione è infatti interamente attribuibile alla popolazione italiana, che scende al 31 dicembre a 55 milioni 104 mila unità, 235mila in meno rispetto all'anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila). Senza l'apporto dei nuovi cittadini stranieri, che negli ultimi 4 anni sono aumentati di 638mila unità, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1 milione e 300 mila. Nel quadriennio, il contemporaneo aumento di oltre 241mila unità di cittadini stranieri ha permesso di contenere la perdita complessiva di residenti. Al 31 dicembre 2018 sono 5.255.503 i cittadini stranieri iscritti in anagrafe; rispetto al 2017 sono aumentati di 111 mila (+2,2%) arrivando a costituire l'8,7% del totale della popolazione residente.
Ma se l'incremento delle nascite registrato fino al 2008 era dovuto principalmente alle donne straniere, negli ultimi anni ha iniziato progressivamente a ridursi anche il numero di stranieri nati in Italia, pari a 65.444 nel 2018 (il 14,9% del totale dei nati). Tra le cause del calo, la diminuzione dei flussi femminili in entrata nel nostro Paese, il progressivo invecchiamento della popolazione straniera, nonché l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte di molte donne straniere.
Più decessi che nascite
La popolazione italiana ha da tempo perso la sua capacità di crescita per effetto della dinamica naturale, quella dovuta alla "sostituzione" di chi muore con chi nasce. Nel corso del 2018 la differenza tra nati e morti (saldo naturale) è negativa e pari a -193mila unità. Il saldo naturale della popolazione complessiva è negativo ovunque, tranne che nella provincia autonoma di Bolzano.
A livello nazionale il tasso di crescita naturale si attesta a -3,2 per mille e varia dal +1,7 per mille di Bolzano al -8,5 per mille della Liguria. Anche Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Molise presentano decrementi naturali particolarmente accentuati, superiori al 5 per mille. Il deficit di nascite rispetto ai decessi si riscontra esclusivamente nella popolazione di cittadinanza italiana (-251mila). Per la popolazione straniera il saldo naturale è ampiamente positivo (+57.554) conseguenza della più alta natalità, rispetto agli italiani, e della bassissima mortalità in ragione del giovane profilo per età di questa popolazione. Il tasso di crescita naturale degli stranieri è pari in media nazionale a 11,1 per mille. Il valore più elevato si registra in Emilia-Romagna (13,8 per mille), quello più basso in Sardegna (5,9 per mille).