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Consumi. Italia sprecona: nel bidone 13 miliardi di cibo (e lo buttano anche i poveri)

Fulvio Fulvi venerdì 2 febbraio 2024

Un'immagine che rappresenta lo spreco alimentare

Più poveri e improvvisamente più “spreconi”. Nonostante l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, il rincaro delle bollette, le rate dei mutui salite alle stelle e gli stipendi ancora “paralizzati”, nel 2024 gli italiani potrebbero gettare nei cassonetti l’8% di cibo in più rispetto all’anno che si è appena concluso. Può sembrare una previsione controsenso, ma non è così. Per risparmiare, infatti, i cittadini a reddito medio-basso, che rappresentano la maggioranza della popolazione, mangiano peggio badando meno alla qualità dei prodotti che finiscono sulla loro tavola: un consumatore su due a basso potere di acquisto cerca al supermercato frutta, verdura, pane e cibi pronti che siano a ridosso della scadenza o più deperibili perché costano meno anche se rischiano di finire in gran parte nel sacchetto dell’umido.

I dati raccolti nel Rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher in vista della “Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare” (in programma il 5 febbraio) in base a un monitoraggio Ipsoa-Università di Bologna Distal, accendono dunque un nuovo allarme sociale. Navigando tra gli effetti prolungati dell’inflazione e l’incertezza globale dovuta soprattutto alle due guerre che si stanno combattendo vicino a noi, ogni abitante della Penisola stando alle sue dichiarazioni “sciuperà” quotidianamente 80,9 grammi di derrate (566,3 grammi alla settimana, ovvero 42,2 in più rispetto al 2023), per un valore complessivo di oltre 13 miliardi di euro (che equivalgono a quasi un punto di Pil), dei quali 7,5 dentro le proprie mura domestiche. Davvero tanti. Dall’indagine risulta inoltre che il 41% degli italiani preferisce il discount a scapito del negozio, mentre il 77% ha dichiarato che dovrà intaccare i risparmi per fronteggiare il costo della vita sempre più elevato, alcuni (il 28%) tagliando ulteriormente il budget per la spesa alimentare. E, ancora, c’è una tendenza a sprecare di più nelle regioni del Sud (4% oltre la media nazionale) che in quelle del Nord (-6%) e nelle città rispetto ai piccoli centri. Un altro aspetto che emerge dal Rapporto è che le famiglie senza figli sono meno attente delle altre a non sprecare.

I dati, sui quali si baserà la campagna di sensibilizzazione “Spreco Zero”, sono stati analizzati secondo l’indice Fies (Food Insecurity Experience Scale) che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. La metodologia mette in risalto l’aspetto socioeconomico: e da qui nasce un “Caso Italia”. Il ceto che si dichiara “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) presenta infatti un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media nazionale.

«Abbiamo notato come lo spreco aumenta col calare del livello di reddito anche se non è una questione puramente economica – rileva il direttore scientifico Waste Watcher, Andrea Segrè – perché esiste una stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in diminuzione costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale». All’inizio l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi ma questa situazione prolungata nel tempo ha costretto gli italiani ad assumere nuove abitudini “low cost” per combattere la crisi. «Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, – spiega Segrè – ma anche un peggioramento nella propria dieta e della sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali con gravi ripercussioni sull’ambiente». Che fare, allora? «Ciascuno nel suo quotidiano si deve impegnare – dice Segrè, che è docente di economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile all’ateneo di Bologna – ma servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con un a attenzione particolare alla tutela dei ceti sociali più vulnerabili: affrontare la crisi alimentare emergente richiederà un approccio integrato che comprenda sia strategie di sostegno economico che iniziative educative per promuovere scelte alimentari sane, consapevoli e sostenibili».

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Il primo passo, dunque, è quello di promuovere iniziative di educazione alimentare ovunque sia possibile e necessario, non solo nelle scuole. Bisogna dare valore al cibo e alle risorse del territorio prima di entrare in “modalità emergenza”. «Nessuno ha la bacchetta magica e inoltre va considerato che a livello europeo non siamo messi peggio di Francia, Svezia, Germania e Olanda anche se rischiamo di diventare come gli Usa, che sprecano più del doppio di noi e hanno un pessimo rapporto col cibo, visto l’alto tasso di obesità tra la popolazione».

Dall’indagine emerge anche la tipologia dei prodotti più sprecati dagli italiani nella quantità media settimanale dei 566,3 grammi rilevata il mese scorso (il dato del gennaio 2023 era di 524,1): al primo posto c’è la frutta fresca (25,4 grammi), poi ci sono cipolle, aglio e patate (20,1), quindi il pane fresco (20,1), le insalate (18,8) e le verdure con gli ortaggi (18,2). E, ancora, quali sono gli effetti negativi dello spreco alimentare secondo gli italiani? Il denaro per le famiglie (81%), la diseducazione all’uso del cibo per i giovani (79%), la dispersione delle risorse per l’ambiente e la natura (78%).

Le soluzioni per combattere il fenomeno vengono infine individuate, nel Rapporto, attraverso vari comportamenti, ritenuti virtuosi, da parte di singoli cittadini, istituzioni e mondo imprenditoriale: puntare sull’istruzione nelle scuole (88%), far conoscere ai cittadini l’impatto negativo dello spreco sull’economia (87%), far conoscere i danni sull’ambiente (82%), migliorare le etichette dei prodotti sulle modalità di consumo (81%), realizzare confezioni più piccole (73%), far pagare le tasse in base allo spreco (56%), realizzare confezioni più grandi (37%), far pagare di più il cibo (20%). Idee, possibili proposte, iniziative in parte già intraprese. Purché se ne discuta con tutti gli “attori” della vicenda sotto la regia di chi poi dovrà varare un progetto mirato (il governo) da affiancare, con provvedimenti concreti, al sostegno delle diverse filiere alimentari e del cosiddetto “made in Italy”.