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Intervista. Spie e dati rubati? «Ci sono troppi ex poliziotti nelle security aziendali»

Marco Birolini mercoledì 30 ottobre 2024

Il professor Ernesto Savona, direttore di Transcrime

Il dossieraggio alla milanese? «Tutta colpa di una cultura di impresa sbagliata». Il professor Ernesto Savona, direttore di Transcrime (il Centro di ricerca su criminalità e innovazione dell’Università cattolica di Milano) non ha dubbi. L’offerta di informazioni riservate esiste semplicemente perché c’è chi le cerca, e le paga. I soldi, ma non solo, muovono le leve del mercato degli spioni: «Vige il principio secondo cui oggi tu fai un favore a me e domani io lo farò a te - sottolinea Savona -. E tutto questo nasce da due vizi di fondo del sistema».

Partiamo dal primo.

«È il problema più grave: tutte le aziende, dalle più piccole alle più grandi, scelgono ex membri delle forze dell’ordine come capi della sicurezza. Queste persone si portano dietro una serie di rapporti che continuano a coltivare e utilizzare in caso di bisogno, è inevitabile. Ma la responsabilità di tutto questo è proprio delle aziende».

Dov’è l’errore?

«L’errore sta alla radice: troppi manager hanno un approccio sbagliato al tema della sicurezza civile ed economica. Un’impresa non dovrebbe preoccuparsi di sapere chi è tizio, chi frequenta e cosa ha fatto, ma dovrebbe effettuare un’analisi dei rischi legati al contesto in cui opera. E questo si fa con strumenti legali, utilizzando fonti aperte. Ad esempio consultando i bilanci e incrociando le risultanze con altri indicatori. Invece il malcostume diffuso prevede che l’addetto alla sicurezza chiami l’amico in servizio per chiedergli i precedenti penali del soggetto di interesse. Ma questa è la forma mentis di chi deve portare elementi di reato sulla scrivania del pm. Da qui nasce la degenerazione dei dati sensibili utilizzati in modo strumentale, per colpire questo o quello. Si tratta di scorciatoie dannose, che nulla hanno a che fare con una seria strategia di security. Seguire una fidanzata in albergo è un altro mestiere».

Se le relazioni pericolose tra ex colleghi sono il nodo del problema, cosa si può fare per risolverlo?

«Diciamo subito che aumentare le pene non servirebbe a nulla. L’unico rimedio è spezzare queste relazioni, così da evitare che vengano sfruttate per fini illeciti. Come? Interrompendo questo sistema di porte girevoli tra forze dell’ordine e imprese: bisognerebbe imporre un periodo di stacco tra il congedo e il passaggio nel privato. Questo impedirebbe di trarre vantaggio dai contatti personali. Però finora non ho sentito nessuno avanzare una proposta del genere, l’unica che sarebbe davvero efficace».

Nei paesi anglosassoni questo metodo viene applicato in diversi settori economici: lo chiamano “gardening”. Mesi o anche anni in cui chi lascia un posto di lavoro può solo fare giardinaggio, letteralmente. Prima di passare dall’altra parte della barricata bisogna rimanere a guardare per un bel po’.

«Si tratta esattamente di questo: mettere limiti e paletti ben precisi. Accade non solo in America e in Inghilterra, ma anche nell’Unione europea: penso per esempio all’Olanda. Solo spezzando il preesistente rapporto di colleganza sarebbe possibile prevenire davvero le fughe di informazioni. Servirebbero però almeno 4 o 5 anni per far venire meno questi legami. Ma c’è anche un secondo aspetto da considerare, e riguarda l’aspetto etico».

Un tasto dolente.

«Sì, perché la corruzione è parte integrante del meccanismo. Senza contare che i funzionari pubblici per contratto non possono divulgare i dati di cui vengono a conoscenza. Ma è un principio che nelle vicende scoperte dall’inchiesta di Milano è stato calpestato anche per tornaconti modesti. C’è chi si è venduto per quattro camicie. E siccome sono migliaia coloro che possono accedere alle banche dati riservate, il corrotto di turno purtroppo ci sarà sempre».

Dalle carte dell’inchiesta emerge che anche alcuni dossier dell’Aisi, coperti da segreto di Stato, sono stati rubati e ceduti. Un tema che tocca la sicurezza nazionale.

«Anche questo è un aspetto inquietante, perché il ruolo dell’intelligence dovrebbe prevedere un modo di operare assolutamente chiuso, impermeabile alle influenze esterne. Ma se un ex poliziotto ha avuto contatti con i servizi segreti in passato, evidentemente continua a coltivare questi rapporti e se ne guarda bene dall’interromperli. L’unico rimedio, ripeto, è fermare le porte girevoli».

Perché è accaduto a Milano?

«Perché a Milano c’è la maggior concentrazione di imprese del Paese. La domanda di informazioni aumenta e quindi il business cresce: non è la prima volta e non sarà l’ultima. Per questo è necessario intervenire».