Il futuro dell'Europa. Moavero: «Dall'Ue una svolta ma vedo deficit di diplomazia»

Enzo Moavero Milanesi, ex ministro degli Esteri del governo Conte I
Davanti al piano “Rearm Europe” della Commissione Von der Leyen Enzo Moavero Milanesi concorda che «è corretto porsi oggi un problema di sicurezza». L’ex ministro degli Esteri nel governo Conte I (e, prima, degli Affari Ue con Monti) sottolinea però due «deficit» dell’azione dei leader europei: stanno «facendo poco per spiegare e chiarire» alle rispettive opinioni pubbliche la portata di quanto sta accadendo e poco continuano a fare anche sul piano della diplomazia.
L’ultimo Consiglio Europeo rappresenta una svolta?
Sì, una notevole svolta rispetto al passato. Si è discusso in termini molto concreti di misure nel settore della difesa, impensabili fino a non molto tempo fa, e ci sono state decisioni significative, perlopiù prese all’unanimità. Certo, siamo solo all’inizio di un percorso: il documento base della Commissione è stato fatto in fretta, tutte le misure dovranno essere strutturate e poi varate. Il nome Rearm? È esplicito, ma non è dei più felici, si poteva chiamarlo, ad esempio. “Per la nostra sicurezza e la pace”.
Cosa cambia?
Non è solo una questione terminologica. Penso ci sia un dato di sostanza che viene trascurato.
Qual è?
Si programma di investire somme ingenti per un riarmo ai fini della difesa, come risposta anche al paventato disimpegno degli Usa, e l’Europa è chiamata a intraprendere azioni nuove alle quali da decenni non era più abituata. Così mi colpisce che se ne parli quasi come se tutto ciò non fosse qualcosa di sconvolgente che riguarda direttamente tutti noi. Il contesto in cui ci troviamo va spiegato al meglio, tanto nell’attualità corrente, quanto nella prospettiva futura. Chi ha responsabilità di governo nell’Ue e negli Stati dovrebbe informare i cittadini e sintonizzarsi con le loro domande.
Vuole dire che sono decisioni prese da “elite ristrette”, in qualche modo?
Possono sembrarlo. I leader dovrebbero chiarire questo passaggio della storia, senza allarmismi e indicando le possibili vie di soluzione. C’è anche bisogno di grandi gesti come li abbiamo visti nel passato europeo, che hanno unito le opinioni pubbliche: penso ai fondatori dell’Europa, De Gasperi, Adenauer, Schuman, e a Kohl e Mitterrand che si prendono per mano a Verdun.
Invece ora non è coinvolto nemmeno il Parlamento Europeo. È un vulnus?
In parte, l’assenza è legata all’inadeguata architettura istituzionale dell’Unione, che non coinvolge appieno il Parlamento Ue nella politica della difesa. Però l’Eurocamera potrebbe organizzare subito un grande dibattito in aula sul risultato del vertice di giovedì scorso e poi votare una risoluzione. Analoghe discussioni approfondite andrebbero organizzate nei Parlamenti nazionali ai quali dovrebbero riferire i capi dei rispettivi governi.
Vede troppa enfasi bellica?
Se guardiamo gli atti, nelle conclusioni a 27 la parola “pace” proprio non c’è. Nella parte sull’Ucraina, sottoscritta da 26 Stati (non l’Ungheria, ndr), invece, si parla di “pace globale”, “pace giusta e duratura” o di “pace attraverso la forza”. Però la pace per l’Ue, in atti come questi, dovrebbe essere l’architrave e l’obiettivo immanente dell’intero testo. Non declinarla così mi sembra limitativo e antistorico.
A cosa vuole alludere?
Il merito inoppugnabile dell’Ue e prima della Comunità Europea è stato di costruire una pace solida fra gli Stati aderenti. Una capacità storica, premiata con il Nobel nel 2012. L’Ue ha un’esperienza di successo, un know-how di 70 anni senza conflitti, ma cosa ha fatto in questi tre anni? Ricordiamo la riunione di Macron a Mosca, qualche telefonata, da ultimo di Scholz, e poco altro. Non era semplice, ma si poteva fare di più, con vere iniziative collettive, anche sull’esempio dei generosi tentativi del Vaticano. Adesso, sempre nelle conclusioni del Consiglio Europeo, si richiede la partecipazione Ue al tavolo dei negoziati, una presenza in extremis a trattative lanciate e imbastite da altri. Nello specifico da Donald Trump che, con modi molto ruvidi e finalità ancora da capire, sta comunque imponendo nell’agenda il tema della pace.
L’Ue deve dialogare con Mosca?
La guerra è stata iniziata dalla Russia che ha invaso l’Ucraina. In coerenza con i propri valori, l’Ue si è schierata subito dalla parte di Kiev e la Russia l’ha sempre percepita come ostile. Infatti, al momento non la vuole ai negoziati. Ora, la domanda dovrebbe essere: quell’iniziativa diplomatica europea mai intrapresa ha ancora uno spazio oggi oppure no? Non tentandola, non avremo nessuna risposta.
L’Ucraina dovrebbe ora essere ammessa subito nell’Ue?
Bisogna considerare che se si venisse a creare una situazione di non completa pace stabile, si applicherebbe il paragrafo 7 dell’art. 42 del Trattato Ue (che fissa l’obbligo di assistere uno Stato membro vittima di aggressione armata, ndr), più netto del famoso art. 5 della Nato. Per scongiurare di trovarci in guerra in futuro si deve puntare a una pace duratura. Non un armistizio lungo come fra le due Coree, per intenderci.
Nella ripresa di una vicinanza fra Trump e Putin vede più un’opportunità o un pericolo per la Ue?
Si vedrà dagli esiti. Sarà positiva se porterà a una pace giusta fra Russia e Ucraina, ma naturalmente perderà smalto quanto più questa pace sarà edificata sulle spalle di chi è stato attaccato. Questo è il grosso punto debole di questa fase, dove si notano forse parziali analogie con lo spirito di Yalta e con la divisione delle sfere d’influenza fra le grandi potenze.
Quali sono le finalità di Trump?
Una è certo di tener fede alla promessa della campagna elettorale di far terminare questa guerra, che ha già causato morti a centinaia di migliaia. Sembrano poi esserci finalità strategiche globali nella sfida con la Cina, perché questo conflitto ha spinto Russia e Cina più vicine, cosa tutt’altro che buona pure per l’Europa.
Si parla sempre di una «pace giusta» da raggiungere. Ma cosa s’intende per giusta, posto che Putin non accetterà mai di tornare ai confini del 2022, se non del 2014?
È un’ottima domanda, ma la risposta concreta può venire solo dai tavoli negoziali. Tavoli che meno saranno corali, più rischieranno di presentare una soluzione incerta e potenzialmente deficitaria. Occorre domandarsi, tutti: cosa siamo disposti a fare per questa pace? E ci dobbiamo dare una risposta tenendo presente i nostri valori base e le regole del diritto internazionale. Viviamo un’epoca piena di focolai di crisi e altri rischiano sempre di accendersi. Il mondo è diventato policentrico e tutto è diventato molto complicato. Sono convinto che valori e regole restano una possibile bussola.
Qualora si definisse un “cessate il fuoco”, la proposta di Gran Bretagna e Francia di inviare truppe di peacekeeping, anche per indurre Trump a offrire pure lui garanzie militari in Ucraina, la trova realistica?
In questa ottica, la formula classica prevede una forza d’interposizione al confine, percepita come una garanzia reciproca e neutrale dai contendenti. In tal caso, dovrebbero andarci, oltre a eventuali soldati europei, anche militari di altre realtà mondiali: gli Usa, magari, ma penso pure alla Cina, all’India: di questo se ne sta parlando. Sarebbe opportuno operare sotto l’egida dell’Onu, quindi senza veti; un’egida che avrebbe una fortissima valenza simbolica e diplomatica. Viceversa, l’ipotesi dei soli soldati europei va ben meditata e dipende dalla Russia, che forse non l’accetterebbe.