Intervista. Casini: «Europee, per la pace serve impegnarsi a una difesa comune»
Per andare verso una “Camaldoli europea”, invito fatto a più riprese dal cardinale Matto Zuppi, «il primo passo, urgente e necessario, per favorire la pace è riprendere il sogno di Alcide De Gasperi, svanito 70 anni fa, di una difesa comune», dice Pier Ferdinando Casini.
Parlamentare di lungo corso, con 11 legislature alla spalle, fermatosi a un passo dal Colle, è oggi senatore eletto come indipendente nelle liste del Pd. Ma qui l’ex presidente della Camera ed ex segretario dell’Udc parla con l’occhio lungo di ex presidente della commissione Esteri, e attuale presidente del gruppo italiano dell’Unione Interparlamentare, incarico che fu già di Giulio Andreotti e in seguito di Antonio Martino.
La difesa comune fu affossata il 30 agosto 1954 dal Parlamento francese, 11 giorni dopo la morte di De Gasperi.
Ma era consapevole che si stesse andando in quella direzione e morì con questo grande cruccio. Un’idea che torna attualissima oggi, in un’epoca in cui vediamo bene il rischio che la forza e la prepotenza diventino gli elementi regolatori del “disordine mondiale”, in luogo del multilateralismo a cui eravamo abituati da tre quarti di secolo. Senza l’Europa siamo tutti dei pigmei.
Se ne parla tanto, ma l’Europa non sembra avere la forza e la concordia per arrivarci.
Io invece sarei fiducioso, sono convinto che le grandi svolte individuali e collettive nella storia sono sempre determinate da uno stato di necessità. Diamo il meglio di noi stessi quando siamo obbligati a farlo. Far prevalere invece i diversi sovranismi produrrebbe una catastrofe per tutti.
De Mita, che visse quel passaggio da capo del governo, di recente ricordava amaramente le parole di Kohl che spinse per l’unione monetaria, convinto che l’unità politica ne sarebbe scaturita di conseguenza. Cosa non avvenuta.
Io dico invece: meno male che c’è l’unione monetaria. Anche se oggi ci accorgiamo che non basta l’unione economica e va ripreso il progetto di De Gasperi di unità politica. Serve l’una e l’altra cosa, se non vogliamo rassegnarci a rimanere dei nani politici.
De Gasperi fu un grande fautore dell’Alleanza Atlantica.
Ma si rese conto subito che non poteva bastare. Poi per decenni ci siamo cullati sull’idea che “tanto ci pensa la Nato”. Ora dovremmo aver capito a nostre spese che non funziona più così. Chiunque vinca negli Usa - Biden come spero, Trump come temo -, se vogliamo salvare il multilateralismo e il ripudio della guerra della nostra Costituzione, non possiamo più pensare di affidare ad altri la difesa di questi principi.
La difesa comune come strumento di pace?
Certamente lo è, e attingendo al pensiero di De Gasperi, come ci ha invitato a fare proprio il cardinale Zuppi. Anche i pacifisti dovrebbero averlo capito, se non sono offuscati da un’ideologia.
Il ragionamento vale anche per il Medio Oriente?
L’unica volta che vidi davvero Forlani arrabbiarsi fu per un mio intervento contro un esponente palestinese. Mi convocò per spiegarmi il perché della nostra scelta per “due popoli in due Stati”, e quella è la strada ancora oggi. Il diritto di Israele di esistere è nel nostro dna, e quel che ha fatto Hamas il 7 ottobre lo trovo in linea con i peggiori crimini nazisti. Ma, ciò premesso, la politica di Netanyahu di delegittimazione dell’Autorità palestinese si è rivelata disastrosa. A tal proposito il recente voto degli Usa all’Onu rappresenta una grande novità. Ma anche qui l’Europa deve poter avere un suo peso. Oggi nel Mediterraneo c’è un “neo-ottomanesimo” turco e l’Europa non si vede, così come in Africa i player sono altri, russi e cinesi, non l’Europa.
Mattarella in Ghana ha visitato un istituto salesiano sostenuto da Confindustria che forma giovani in loco da assumere in Friuli-Venezia Giulia.
Non è un caso che questo progetto veda l’adesione del presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, che da ex deputato Dc conosce bene i “fondamentali”. L’immigrazione non è un nemico, come ha capito bene la parte pragmatica della Lega, mentre la parte populista finge di non capire.
A proposito di Lega, come giudica l’intesa elettorale con l’Udc?
No comment, per ragioni di stile.
Ma intanto l’unico canale d’ingresso nel Ppe resta Forza Italia. Gli altri popolari, se eletti, saranno ospiti in casa d’altri.
Il Ppe ultimamente raccoglie tutto e il contrario di tutto, basti pensare che fino a ieri ospitava anche Orban. Io consiglierei, piuttosto, di far buon uso delle preferenze che il voto europeo consente. Più di ogni altra, è questa la riforma che andrebbe fatta: reintrodurre le preferenze nel voto politico. La gente non conosce più i propri rappresentanti, li conoscono solo i leader. L’antipolitica nasce da questo. Eventuali casi di compravendita dei voti, se accertati, non cambiano la mia idea. Sono reati, il diritto di scelta dei propri rappresentanti non c’entra.
No al premierato, quindi?
Si parla tanto dei poteri tolti al capo dello Stato. La questione meriterebbe una riflessione a parte. Ma io constato soprattutto l’esproprio definitivo del Parlamento.
Di fatto espropriato lo è già...
Non per questo gli vanno tolti anche i pochi poteri rimasti.
L’opposizione intanto si divide, il rapporto Schlein-Conte è al minimo storico.
Al di là del dibattito che, come ho già detto, trovo sconcertante su alcune candidature come quella dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, il voto europeo potrebbe mostrare che le opposizioni rappresentano, insieme, la maggioranza degli italiani. Ma manca una figura unificante, che il centrodestra ha. Una competizione basata sul proporzionale non è il momento più adatto, ma il problema di un’alternativa si porrà. Anche per la maggioranza che, agendo indisturbata, non è spronata a migliorarsi.
Un recente sondaggio ha portato alla luce che più del 30% degli italiani vedrebbe bene un partito cattolico.
È un segnale che fa piacere, vuol dire che certi giudizi liquidatori di una storia gloriosa non sono condivisi. Ma i processi politici sono altra cosa, non si fanno solo con le nostalgie.