Intervista. Notarstefano: associazioni sempre più unite. Dialogo anche su temi divisivi
Giuseppe Notarstefano
Per Giuseppe Notarstefano, che nella vita fa lo studioso di statistica, quella di Trieste è stata la sesta settimana sociale, la seconda da presidente di Azione cattolica. Un’esperienza «luminosa», la definisce, «sempre meno convegno e sempre più evento di popolo».
Che cosa l’ha colpita, in particolare?
Mi è piaciuto il coinvolgimento di tante esperienze e linguaggi diversi. Non solo incontri, ma anche momenti artistici, mostre, un po’ come avviene al Meeting di Rimini. Ed è stato bello vedere tanti che, senza essere rappresentanti di una diocesi, o movimenti o, sono venuti a titolo personale. Mi ha colpito poi la piazza usata come punto di incontro con la comunità.
E che clima ha visto, fra le diverse realtà ecclesiali?
Un clima fraterno, nello spirito della “Fratelli tutti”, che ci ha messo in grado di affrontare senza timori anche i temi più divisivi, senza cadere nella frammentazione, nella violenza verbale che caratterizza il dibattito politico.
Un’isola felice?
La Settimana sociale non vuole essere questo. Certo, le nostre comunità ecclesiali vivono con difficoltà il clima di scontro che caratterizza il dibattito politico, ma questo non può diventare un alibi per restare fuori dai temi divisivi della politica. Abbiamo sperimentato percorsi comuni che possano condurre a un approccio diverso, che rimetta al centro la persona e il bene comune.
Da dove ripartire?
Dallo spirito della Costituzione, che non a caso ha visto protagonisti tanti costituenti cattolici, culture diverse, antagoniste, in grado di dialogare fra loro, individuando regole e valori condivisi. Questa è la democrazia, l’alternativa è la barbarie.
Mattarella ha dato una mano, ripartendo - nella Settimana sociale dedicata alla democrazia - dalla Settima sociale di Firenze del 1945.
È stato un intervento di grande respiro, che indica la strada di una democrazia “ad alta intensità” al servizio del Paese.
Che sa si intende per “democrazia ad alta intensità”?
Una democrazia che non è appena tolleranza , ma riconoscimento di un valore nell’altro: la sua diversità rappresenta un dono, non un pericolo, indica che io non posso fare a meno dell’altro, e di un confronto fruttuoso con lui, come ha spiegato il filosofo Michele Nicoletti, parlando di una democrazia basata sull’amore per l’altro.
Questo come cambia la prospettiva?
La democrazia premia chi ottiene la maggioranza. Ma l’obiettivo della democrazia non è il bene di una maggioranza, è il bene di ciascuno, a partire dai più deboli. Una democrazia “vera”, finalizzata al bene comune, non può offrire risposte semplici a problemi complessi.
Il sovranismo è una di queste scorciatoie?
La globalizzazione ha creato omologazione. Ma il sovranismo è una risposta sbagliata, semplicistica. La risposta vera è quella che rimette al centro l’uomo e valorizza le differenze fra esseri umani, in un arricchimento reciproco, non mettendo uno in contrapposizione con l’altro come appartenente a questa o quella Nazione.
Quali priorità per la democrazia vengono da Trieste?
Il bene comune non è la difesa dei nostri confini, ma l’impegno contro il cambiamento climatico, ultimamente messo un po’ ai margini. È impegno per la pace, per far crescere il progetto europeo, nato proprio per costruire la pace. Il clima e la pace sono temi che mettono a rischio il futuro del pianeta, sui quali occorre sviluppare una democrazia dal basso che nasca da una passione per produrre una politica diversa. Penso a David Sassoli che in Europa ne è stato espressione.
Anche la denatalità mette a rischio il futuro dell’Europa.
Occorre coraggio, sia pur nei vincoli di bilancio. Draghi ha indicato la strada per dare una nuova prospettiva di sviluppo al progetto europeo. E la prima sfida è la denatalità. Non siamo all’anno zero, ma si deve fare molto di più, e abbiamo visto che dove si è investito ci sono stati dei risultati. Si deve investire sulla famiglia, in chiave sussidiaria. Non è un costo, ma un grande investimento, anche sul piano del welfare. Non si può ospedalizzare la disabilità e la malattia cronica. Collegata alla famiglia c’è anche una cultura della vita da riaffermare. E c’è la questione educativa. Sono tutti temi su cui i cattolici sono chiamati a confrontarsi, a essere protagonisti, anche a livello locale.
Trieste anche su questo ha segnato una novità.
Si sono visti all’opera amministratori mossi da spirito di servizio, da passione per le loro comunità, non dalla voglia di difendere una rendita di posizione. Bisogna continuare con questo spirito nelle diverse realtà. Occorre accettare la sfida della competenza, la ricerca della migliore soluzione possibile ai temi che assillano le nostre comunità, senza preclusioni o pregiudizi.
Che cosa fare per rilanciare la partecipazione?
Occorre riscoprire i partiti, la partecipazione “vera”. Non si può affidare tutto ai moderni strumenti di comunicazione. E occorrono le riforme, a partire dalla legge elettorale.
Che momento è stato, Trieste, nella vita della Chiesa italiana?
Un momento molto bello, di cui c’è da esser grati al Signore. Ho visto all’opera una fraternità diffusa, che non considera un ostacolo il fatto di essere diversi. Ho visto una gara a stimarsi reciprocamente. Un segno dello Spirito su cui continuare a costruire.