Attualità

Editoriale. Cosa c’entrano quei bambini? L'insopportabile domanda

Massimo Calvi domenica 29 ottobre 2023

«I bambini giocano alla guerra / È raro che giochino alla pace / perché gli adulti / da sempre fanno la guerra, / tu fai “pum” e ridi; / il soldato spara / e un altro uomo / non ride più. / È la guerra».

I bambini giocano alla guerra, recita una poesia di Bertolt Brecht, perché i bambini non sanno come si gioca alla pace. Nessuno ha insegnato loro come si fa. Giocano alla guerra perché hanno sempre visto i grandi fare questo, ed è bellissimo “fare pum”. Ma i bambini non sanno che la guerra non è un gioco, incomincia quando si vuole tutto per sé, o non si riesce a vedere la bellezza nemmeno nei disegni degli altri bambini. Non sanno ancora, i bambini, che se a giocare sono i grandi la battaglia non finisce in cucina a fare merenda. L’esito è solo fame, freddo e paura. Andrebbe riletta questa poesia, meditarla in queste ore aiuta a decifrare la cronaca delle sofferenze inflitte ai bambini di Gaza, a gestire la fatica nel guardare i volti dei piccoli israeliani ostaggi di Hamas, a ricordare i figli ucraini deportati in Russia, a pensare ai minori affidati alla sorte delle onde nella disperata ricerca di un futuro.

Concede un “oltre”, la poesia, che non è rimozione, ma il tentativo di scongiurare l’assuefazione a un male senza senso, fissando un ordine morale di responsabilità; come solo la preghiera può affrontare la grande e terribile domanda su cosa c’entrino i bambini con la sofferenza, accettando che una vera risposta non esiste al di fuori della sofferenza stessa.

C’è sempre una guerra nel mondo, un conflitto i cui effetti diventano insopportabili quando le vittime sono i più innocenti tra gli innocenti.

Avviene da secoli, ma oggi è ancora meno comprensibile: non siamo nell’era ipertecnologica? Quella dei droni che consegnano gli ordini sulla soglia di casa o dell’intelligenza artificiale che scrive romanzi, delle auto che si guidano da sole e dei robot che sostituiranno i e le badanti? Abbiamo la tecnologia e le risorse per mandare i turisti su Marte, ma siamo ancora qui a fare i titoli su Re Erode, e le stragi dei bambini.

Il mondo in pace guarda con ansia a tutto questo, prova pietà, piange in silenzio e prega. Probabilmente non ci si chiede abbastanza quanto di questo lusso derivi da un equilibrio di forze generato dall’ingiustizia. E non si coglie che questa pace può essere frutto di un armistizio, il patto di un mondo che la sofferenza dei bambini crede di poterla eliminare non facendoli più nascere.

Le guerre nascono sempre da un problema di risorse, si tratti di terra o di acqua, di energia o di popolazione. La “Guerra mondiale a pezzi” è misura anche della crisi climatica e delle tensioni demografiche, la prova di un’umanità che ha dimostrato di saper giocare alla guerra, ma non riesce e non vuole “inventare” e poi insegnare ai suoi figli, ai fratelli e alle sorelle di oggi e di domani, il grande gioco del futuro e della pace. Quello in cui «tutti i bambini / sono tuoi amici».