Napoli. Il campo estivo di don Luigi con 150 ragazzi “difficili”. «Lo Stato ci aiuti»
Don Luigi Merola con i ragazzi del suo campo estivo
«Siamo partiti a maggio, prima che terminasse la scuola. Nella realtà in cui operiamo bisogna essere tempestivi, offrendo ai ragazzi un’alternativa concreta alla strada». Don Luigi Merola, fondatore e presidente della fondazione “A voce d’e creature”, parla del campo estivo nel quale è riuscito a mettere insieme 150 fra i suoi ragazzi “difficili”, figli della Napoli “bene” e disabili. Tutti riuniti ogni giorno nella sede della fondazione, un bene confiscato a un camorrista nel centro di Napoli, a poca distanza dalla stazione Centrale.
Qui, tutto l’anno, vengono accolti, seguiti e avviati al lavoro minori segnalati dai servizi sociali del Comune. «Quasi il 90% di loro – spiega don Luigi – ha almeno un genitore in carcere. Molti hanno fatto parte delle famigerate baby-gang. A questo campo estivo, che è totalmente gratuito per venire incontro anche alle famiglie meno abbienti, partecipano pure ragazzi che non frequentano normalmente la nostra sede: c’è il figlio di un avvocato, quello di un magistrato, che ha voluto che suo figlio familiarizzasse con i nostri ragazzi. Abbiamo anche dei disabili: uno di loro fa l’educatore». Il campo è momentaneamente fermo, in attesa di ripartire a breve. «Ci troviamo ad affrontare spese notevoli, sorretti esclusivamente dall’aiuto di privati – confessa il sacerdote –. La nostra fondazione non riceve alcun sovvenzionamento statale, fondi del 5xmille a parte: a proposito, ne approfitto per lanciare un appello a donarlo a noi. Lo Stato dovrebbe fare di più per realtà, come la nostra, che svolgono un’importante funzione sociale, che si occupano dei ragazzi a rischio devianza. Ma la politica è assente, non si occupa abbastanza di queste tematiche».
Quando ha iniziato 17 anni fa, don Luigi è partito con un piccolo gruppo di persone, «affidandosi solamente alla Provvidenza». Ma, pur restando inalterata questa impostazione di base, anno dopo anno è maturata in lui una coscienza più profonda. «Siamo partiti con i volontari. Ma non basta. Per poter essere efficaci nella realtà in cui operiamo, occorrono professionisti che giustamente vanno retribuiti adeguatamente. Servono soprattutto risorse. E servono programmazione e continuità». Il sacerdote napoletano – che quando era parroco in un altro quartiere popolare del centro del capoluogo, Forcella, attaccò pubblicamente i camorristi e per questo finì sotto scorta – riserva un’amara riflessione anche al mondo della scuola. «In contesti come questi dovremmo avere i migliori insegnanti, pagati anche il doppio. Invece arrivano insegnanti scarsamente motivati, che magari fra un anno andranno via, non garantendo continuità didattica. I nostri ragazzi non sempre hanno la certezza di essere accolti a scuola, e proprio lì, spesso, sentono addosso come un marchio: anche così si spiega la dispersione scolastica. Inoltre, ci vorrebbe il tempo pieno ovunque. Invece è proprio qui che manca…». La struttura che oggi ospita la fondazione di don Luigi era, si è detto prima, la casa di un camorrista. Dove ora giocano i ragazzi, un tempo c’era un leone, che l’ex proprietario dell’immobile teneva in giardino. «Che strano: quando c’era il leone, nessuno diceva nulla. Ora che ci siamo noi, chiamano carabinieri e polizia per gli schiamazzi dei nostri ragazzi», ironizza don Luigi.
Ma il suo è anche un modo per spiegare meglio la realtà in cui opera: «Quando quel camorrista comprava la carne per quel leone, la distribuiva gratis a tutto il quartiere. È così che si spiega l’omertà e il consenso di cui gode la camorra: essa si sostituisce allo Stato, fornendo “servizi” ai cittadini. Ma tanta gente apprezza ciò che facciamo». Tra loro ci sono i genitori di alcuni dei suoi ragazzi. «Mi scrivono dal carcere frasi come: “Grazie a lei mio figlio non seguirà la mia stessa strada”».