Coronavirus. L'incognita della variante Delta sulla campagna vaccinale
Un uomo esce da un centro vaccinale in centro a Londra
È una delle varianti genomiche del coronavirus SARS-CoV-2 chiamate Delta (B.1.617), precisamente la sotto-variante B.1.617.2, quella che rischia di mandare in crisi il sistema di protezione dal Covid-19 basato sulla profilassi vaccinale, messo in piedi - con grande dispiego di risorse sanitarie, sociali ed economiche - nei primi sei mesi di quest’anno. Il rischio è serio e non può essere sottovalutato né taciuto, a fronte del rilassamento nell’uso dei dispositivi di protezione individuale e nel distanziamento fisico per il quale vi è grande attesa nelle popolazioni e disponibilità alla concessione tra i governi europei.
La preoccupazione sale rapidamente nel Regno Unito, dove, in queste ore, a Downing Street si sta pensando ad una proroga delle limitazioni anti-Covid oltre il 21 giugno (lo "Step-4 Day": l’ultima scadenza prevista dal piano di rientro dalle restrizioni). Questo a fronte di un incremento dei contagi del 79% registrato nell’arco di una settimana, con 278 nuovi ricoveri ospedalieri in condizioni cliniche gravi, in una nazione dove il 75% degli adulti ha già ricevuto la prima dose di vaccino e oltre 28 milioni di abitanti anche la seconda. Avendo quindi raggiunto la soglia minima dell’intervallo di vaccinati (75-90%) per il conseguimento della "immunità di comunità", calcolata assumendo una efficacia media dei vaccini del 80% (studio di Roy Anderson e collaboratori, Lancet 2020).
La Delta B.1.617.2 è ormai dominante in Inghilterra - afferma Public Health England, l’agenzia sanitaria governativa - e si sta rapidamente diffondendo anche negli Usa (attualmente il 6% dei casi di Covid) e in altri Paesi, incluso Israele, quello con la maggior percentuale di vaccinati completamente. Identificata per la prima volta in India, porta oltre dodici mutazioni, tra le quali due (L452R e T478K) riguardano il dominio di legame della proteina Spike al suo recettore sulle nostre cellule e influenzano la trasmissibilità e l’aggressività del virus: si diffonde con maggiore velocità (oltre il 40% in più) ed è associata a forme cliniche più gravi rispetto al ceppo originario. Conduce frequentemente al ricovero dei pazienti e questo lo si sta già osservando oltre la Manica, dove qualche ospedale è ritornato sotto pressione. Ancor più preoccupante è il dato sulle infezioni chiamate "breakthrough" (quelle nei soggetti già inoculati con i vaccini preparati sulla base del ceppo originario, i soli attualmente disponibili): dai primi studi in India e in Inghilterra risultano essere più frequenti nel caso della Delta B.1.617.2, che sembra evadere con maggiore facilità la copertura vaccinale, in modo particolare dopo una singola somministrazione.
Una conferma di queste osservazioni cliniche è venuta da uno studio pubblicato il 3 giugno su Lancet e coordinato dagli ospedali universitari di Londra. Nei soggetti completamente vaccinati (due dosi Pfizer-BioNTech), i livelli di anticorpi in grado di neutralizzare la Delta B.1.617.2 sono di 5,8 volte inferiori rispetto a quelli che bloccano il ceppo che ha dato origine alla pandemia in Inghilterra (Alpha B.1.1.7). Il grado di protezione ottenibile con i vaccini attualmente in distribuzione, rispetto alle conseguenze di una eventuale ondata pandemica da Delta B.1.617.2, sembra essere significativamente inferiore all’atteso per le varianti che ci hanno sinora colpiti.
I dati che emergono stanno confermando le ipotesi di numerosi esperti di virologia, immunologia ed epidemiologia sulla pericolosa caratteristica del coronavirus Sars-CoV-2 di mutare con una rapidità assai superiore a quella di altri virus patogeni, generando varianti genomiche selezionate naturalmente attraverso un processo che sfugge al controllo e genera nuovi ceppi con proprietà favorevoli alla sua diffusione, ossia una maggiore carica virale da replicazione e trasmissione, unita alla capacità di sfuggire (anche solo parzialmente) alla azione neutralizzante della immunità indotta dalla vaccinazione mirata ad altri ceppi meno evoluti.
Non si tratta di considerazioni pessimistiche, allarmistiche o connotate da eccesso di criticità, ma di affermazioni che partono dalla realtà così come essa si mostra alla nostra ragione. L’approccio vincente per la sconfitta della pandemia non potrà essere solo quello vaccinale, ma dovrà continuare a fare ricorso anche alla profilassi non vaccinale (mezzi di barriera, distanziamento fisico, igienizzazione) e puntare con maggiore decisione sulle terapie sintomatiche precoci, che non dipendono dalle varianti del virus perché non contrastano l’infezione, ma i suoi effetti patogeni.