L'immunologo Guidotti. «Il virus muta dove non c'è il vaccino, svolta dagli antivirali»
Il professor Luca Guidotti
«Stiamo studiando. Non è il caso di allarmarsi ma constatiamo che questa variante, Omicron, presenta differenze che interessano quattro “regioni” della proteina Spike. In ognuna regione ci sono mutazioni. Tradotto in soldoni, da una prima impressione non supportata da prove, dovremmo avere di fronte un virus ancora più bravo a contagiare, abile ad eludere qualche difesa anticorpale da vaccino, ma non a rendere la malattia più grave». Immunologo e virologo, Luca Guidotti, per 21 anni docente di Patologia sperimentale allo Scripps Research Institute di La Jolla (Stati Uniti), uno dei centri di ricerca biomedica più prestigiosi al mondo, è autore di studi ospitati da Cell, Nature, Nature Medicine e Science. Rientrato a Milano, è docente di Patologia generale nell’Università Vita-Salute San Raffaele e vicedirettore scientifico del San Raffaele.
Professore, non sembra sorpreso dalle ultime notizie.
Abbiamo un’altra variante che emerge. È un fatto normale. Ce ne saranno tante altre ancora.
Perché dice che potrebbe essere più contagiosa?
Sembra che in Sudafrica sia destinata a rimpiazzare la Delta piuttosto presto, non vedo perché questo effetto non dovrebbe verificarsi in altre parti. Succede quello che succede in tutte le infezioni. Come nell’influenza, il virus evolve. Per farlo ha bisogno di un serbatoio di non vaccinati, o di vaccinati poco rispondenti al vaccino, oppure di soggetti immunocompromessi. Alcune persone hanno anticorpi un po’ deficitari e questo aiuta il virus. Se salta fuori una mutazione che supera questa “barriera allentata” può risultare più vincente nell’eludere la protezione dei vaccini.
Potremmo trovarci a fronteggiare una variante capace di sfuggire a tutti i vaccini?
In questo momento è improbabile ma può accadere. Nel caso, tuttavia, ci vorrebbe poco a ricalibrare i nuovi vaccini. È una rincorsa.
Ci aiuti a capire di più.
Da un lato il virus “sente” la pressione dei vaccini nei Paesi più immunizzati, e tende a fuggire. Dall’altro, fuggendo, trova intere autostrade per replicarsi e mutare, grazie ai non vaccinati. Ora, buona parte degli esseri umani ha anticorpi, un’altra grande fetta non ne ha: in questa “macedonia” prima o poi varianti in grado di sfuggire ai vaccini emergeranno. Ecco perché dobbiamo far presto a vaccinare tutti.
L’Africa offre terreni di coltura enormi al Sars-CoV-2.
Come tutti i Paesi dove si è fatto meno ricorso alla profilassi. Il Sudafrica, inoltre, ha un numero consistente di persone immunodepresse perché sviluppano l’Aids dopo l’infezione da Hiv.
Che cosa succede in queste persone?
In un soggetto normale il virus “abita” circa una settimana, muta un centinaio di milioni di volte, poi non sopravvive. Ma se, invece che stare una settimana, restasse nell’organismo per 3 mesi a causa di una immunodeficienza, muterebbe anche miliardi di miliardi di volte. A fronte di questi rischi è triste avere persone che non si immunizzano, in aggiunta a quelle più sfortunate che non rispondono al vaccino.
Anche i bambini vanno vaccinati?
Sì, sono diventati un discreto serbatoio di propagazione. E il vaccino è sicuro.
Professore, lei ha contribuito alla scoperta dei nuovi ed efficaci farmaci che stanno eradicando le epatiti. Ieri si è appreso che l’antivirale orale di Merck, il Molnupiravir, è meno efficace rispetto ai dati preliminari: dal 48% iniziale si è passati al 30%. Con i nuovi risultati svaniscono molte speranze, non crede?
No. Intanto non è l’unico farmaco in dirittura d’arrivo. Ma sarebbe un errore limitarci a pensare solo a quelli in attesa di validazione. Si tratta solo dell’anticamera della prima generazione di farmaci antivirali, pensati, tra l’altro, per altri virus. Per l’epatite C, che ha causato milioni di morti, abbiamo trovato la quadra solo alla quarta, quinta generazione di farmaci, ci sono voluti 10 anni. È stato il più grande successo farmaceutico di sempre.
Ma quante molecole potenzialmente “vincenti” ci sono in giro?
In questo momento più di 300.
Anche in Italia?
Sì, anche al San Raffaele stiamo seguendo delle piste molto interessanti. Quando insegui un antivirale ne sintetizzi migliaia e alla fine ne selezioni uno.
Come funzioneranno?
L’azione degli antivirali dipende dal bersaglio molecolare che scelgono di colpire.
Voi a cosa mirate?
Noi, come Pfizer, abbiamo scelto come obiettivo una proteina del virus che si chiama proteasi principale.
Perché?
Gli antivirali sono molecole che si assumono per bocca. Passano poi nel sangue per arrivare nei vari tessuti dove il virus si colloca, in questo caso nell’apparato respiratorio. Entrano nel virus e “usano” le proteine che possiede per distruggerne il ciclo replicativo. Ebbene, la proteasi principale è una proteina non dissimile da quella dell’epatite C, per cui sappiamo come muoverci... L’altro vantaggio è che questa proteina è molto conservata in tutti i betacoronavirus. Cioè tutte le varianti ce l’hanno. Quindi, il virus potrebbe anche sfuggire a qualche vaccino ma non avrebbe scampo con gli antivirali perché, a differenza della molecola Spike, che muta, la proteasi principale è sempre identica.
Quanto tempo vi occorre?
Credo occorreranno 2-3 anni. Adesso lei mi dirà che è un tempo lungo.
Come se gliel’avessi detto.
Appunto. Ma quando quell’antivirale ci sarà, la possibilità che risulti molto efficace anche contro Sars-CoV-3, 4, 5, 6, e scelga pure lei il prossimo, sarà elevatissima. E non è neanche questo l’unico vantaggio.
Se mi dà altre buone notizie non la interrompo più.
L’antivirale non richiede l’ospedalizzazione e l’endovena, ed esce dal ciclo del freddo. Se il mondo decidesse di farsi carico dell’approvvigionamento nei Paesi poveri, sarebbe una manna dal cielo perché la distribuzione è molto più agevole rispetto ai vaccini. E coprirebbe anche l’ultimo villaggio sperduto nel Sud Sudan, dove non riusciremmo mai a portare il ciclo del freddo.