Politica. Il voto nei comuni dice che l'elezione diretta non è la cura
Cremona, un seggio elettorale per il ballottaggio
Ci sono più di 15 buoni motivi per riflettere su questo secondo turno per le comunali: sono i punti percentuali in meno di affluenza (15,12%, per la precisione) che i ballottaggi hanno fatto segnare rispetto al primo turno.
È vero, due settimane fa si votava anche per il Parlamento Europeo, ma l’effetto traino - se c’è stato - è stato inverso: 62,6% per l’elezione dei sindaci, 48,3% per le europee. C’è da temere insomma che, senza comunali, il voto europeo avrebbe battuto un altro record negativo.
È vero anche che non è la prima volta che il dato delle comunali tracolla tra il primo e il secondo turno, ma con il tanto proclamato e analizzato ritorno al bipolarismo si poteva forse sperare in un ritorno di fiamma della partecipazione. In fondo, il sindaco è l’autorità politica più vicina al cittadino, più presente sul territorio, sceglierlo direttamente è una grande conquista di appena una trentina d’anni fa.
La legge per l’elezione del sindaco non è mai cambiata da allora, accolta con grande entusiasmo e adesione dagli elettori, che tuttavia nel tempo sono andati scemando. Così che, domenica e ieri, in una città importante come Bari è andato a votare appena il 37,5% degli aventi diritto.
Non è dunque l’elezione diretta, in sé, la panacea per guarire la malattia che tiene distanti troppi italiani dall’esercizio democratico del voto. Neanche l’elezione diretta del presidente del Consiglio, prevista dal ddl costituzionale sul premierato. Al di là delle non poche perplessità che quest’ultimo solleva, infatti, sembra evidente che per tornare a essere anche una passione popolare, la politica deve innanzi tutto recuperare prestigio e credibilità.