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Scuola al via. Il vescovo Giuliodori: «L'educazione è impresa che riguarda la comunità»

Paolo Ferrario mercoledì 11 settembre 2024

Il vescovo Claudio Giuliodori

«La scuola è il più grande, il più importante investimento dell’Italia, perché sull’educazione si gioca il presente e, soprattutto, il futuro del Paese. L’impegno profuso da tutti per accompagnare, sostenere e formare le nuove generazioni è ciò che qualifica in maniera rilevante anche la vita di un popolo. In questo momento, come Episcopato italiano e più in generale come comunità ecclesiale, vogliamo far sentire la nostra vicinanza, il nostro affetto, ma anche l’impegno concreto di tutti coloro che sono attivamente coinvolti nell’attività scolastica. Ma non solo, perché l’educazione è un’impresa di comunità e tutti devono dare il loro contributo».

All’avvio del nuovo anno scolastico, è questo l’augurio a studenti, insegnanti, personale amministrativo e ausiliario e alle famiglie, del vescovo Claudio Giuliodori, presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della Cei

Eccellenza, di scuola si è parlato diffusamente anche in estate, con riferimento soprattutto allo ius scholae: quale può essere il punto di caduta del dibattito?

Sul tema la posizione della Cei è stata ribadita, anche di recente dal presidente cardinale Zuppi: siamo molto attenti ai fenomeni che segnano il cambiamento epocale. Perché ci sono una molteplicità di fattori che dobbiamo considerare. Anzitutto, il calo demografico irreversibile nel nostro Paese. Nello stesso tempo, ci sono i flussi migratori che, nonostante la loro complessità, introducono energie nuove e modificano il quadro sociale. Tutto questo concorre a dare un volto nuovo ad un Paese che sta vivendo profondi cambiamenti. Quindi, anche nella scuola non possiamo non immaginare un rapporto di accoglienza, di integrazione e anche di arricchimento nel tempo attraverso gli apporti di molteplici culture, diverse sensibilità ed espressioni religiose. Anche al di là del dibattito, culturale e politico, credo che questi fenomeni devono a tutti gli effetti appartenere alla consapevolezza di un Paese che sta cambiando. E quindi l’accoglienza, l’integrazione, l’inserimento e la cittadinanza costituiscono temi di primaria importanza anche nella scuola.

Tra le novità di quest’anno c’è l’Educazione civica, con il nuovo indirizzo dato dal ministro Valditara: quali ricadute potrà avere sul patto educativo per la scuola?

Quelle assunte dal ministro mi sembrano iniziative pertinenti e importanti che indicano un orientamento e costituiscono passi concreti di intervento e di cambiamento. Devono essere inserite all’interno di un’opera complessiva di formazione dei nuovi cittadini e questo è ciò che fa la scuola, ma non da sola. Quindi, questo patto, che anche papa Francesco, da anni ci invita a costruire – ricordo l’importanza del Patto educativo globale di cui il Pontefice ci ha dato le coordinate – deve vedere coinvolti tutti i soggetti. In primis la famiglia, poi la scuola ma non pensata come realtà a sé stante, ma come espressione di una società civile concordemente impegnata a sostenere le nuove generazioni. Uno dei problemi del nostro tempo è proprio l’insicurezza, l’ansia, la difficoltà a guardare in modo sereno e costruttivo al futuro. Quindi l’alleanza significa ridare a tutti la consapevolezza che sono sfide che possiamo affrontare, che sicuramente possiamo vincere garantendo condizioni nuove di maturazione e di crescita. Penso anche a tutto il mondo del lavoro e delle aggregazioni. Dobbiamo, insomma, passare dalla leggerezza dei social a una reale capacità di socializzazione, indispensabile per la crescita dei nostri studenti. Nel nostro Paese c’è poi il tema urgente della dispersione scolastica. Abbiamo bisogno di fare rete per essere a fianco dei nostri studenti, dei nostri giovani per offrire loro le migliori possibilità per essere cittadini creativi, responsabili e capaci di far crescere il Paese.

L’anno prossimo saranno 25 anni dall’istituzione della legge sulla parità scolastica: dopo un quarto di secolo si arriverà a una sua piena attuazione?

Dobbiamo registrare, da una parte, con la legge del 62/2000 l’esistenza di un buon quadro legislativo perché la legge definisce, in maniera molto precisa, il nostro sistema scolastico, come un sistema plurale, in cui è riconosciuta la libertà di educazione e la primaria responsabilità della famiglia, oltre che degli stessi studenti, ma purtroppo il sistema è ancora incompiuto. Non perché manchino le norme, ma perché nel tempo non sono state previste e messe a bilancio le risorse necessarie. Quindi, siamo in un sistema ancora, da questo punto di vista, incompiuto. Ci auguriamo che, in questa prospettiva del 25° della legge 62/2000, possa maturare una consapevolezza in tutti, ma in particolare nell’azione di governo, per fare passi decisi e significativi verso un’effettiva parità. Che significa libertà di educazione, capacità e possibilità di scelta e di orientamento in un contesto plurale. È un arricchimento per il Paese. Su questo devo anche segnalare, come presidente del Consiglio nazionale della scuola cattolica, l’appello di tutte le associazioni del mondo cattolico nell’ambito del sistema delle paritarie, affinché anche nella prossima Finanziaria possano esserci interventi significativi su quei capitoli che concretamente possono dare nuovo vigore e nuovo slancio alle scuole paritarie. In modo particolare, quelle che sono davvero a servizio del bene del Paese. I tre capitoli fondamentali sono il fondo storico imputato alle paritarie, il fondo dedicato al sostegno della disabilità, capitolo aumentato in questi ultimi anni ma ancora insufficiente, il fondo relativo alle scuole dell’infanzia e ad altri provvedimenti legati al Pnrr. L’auspicio è che ci possa essere un segnale importante. Per questo è stata inviata una lettera al Governo dal Consiglio nazionale della scuola cattolica perché si ponga particolare attenzione nella prossima Finanziaria a questo tema al fine di favorire un reale sviluppo del pluralismo scolastico al pari di quanto avviene nei paesi più avanzati dell’Europa.