Natalità. Il peso della narrazione sulle donne che non vogliono figli
Alla denatalità non sembra esservi rimedio. Le notizie che giungono da vari Paesi non fanno che aggiornare i record negativi precedenti. Per dire, nei giorni scorsi la Germania ha comunicato che nel 2023 le nascite sono calate del 6,2%, negli Stati Uniti si è toccato il livello più basso da quasi 50 anni, in Danimarca il numero di figli per donna è sceso a uno e mezzo, e anche nella “mitica” Francia non va così bene come si dice, dato che il tasso di fecondità nei suoi confini europei, cioè escludendo i territori d’oltremare, è sceso ormai a 1,64.
Si tratta di dati pur sempre migliori di quanto accade in Italia, dove il modesto 1,2 figli per donna fa del nostro Paese uno dei malati planetari di denatalità, ma è sempre più chiaro che ci troviamo di fronte a un fenomeno di dimensioni globali: nelle società avanzate le traiettorie di realizzazione personale non passano più solo dalla famiglia e dai figli. Chi studia le tendenze demografiche sottolinea che il declino della genitorialità non è riconducibile a un solo fattore, ma è la conseguenza di un intreccio articolato di ragioni culturali e materiali.
All’interno di questa complessa dinamica può inserirsi un altro elemento meno facile da definire, e riguarda l’articolazione del racconto che si genera attorno al senso della maternità e della paternità. Ed è qui che possono maturare differenze anche significative, se si pensa al ruolo che possono giocare la percezione di insicurezza, il timore del futuro o le aspettative di felicità con le quali le persone si devono confrontare.
Gli Stati Generali della Natalità, la cui quarta edizione è in programma giovedì e venerdì a Roma, si propongono come un evento che ambisce a lavorare proprio sul piano della narrazione, offrendo chiavi di lettura capaci di mostrare le prospettive di speranza, o di sensata fatica, che caratterizzano i tragitti delle coppie con figli. Nei documenti preparatori dell’evento vengono riproposti molti dei temi della perdurante denatalità italiana, dal calo e dall’invecchiamento della popolazione (nel 2050 ci saranno più di 30 anziani ogni 10 giovani), alla povertà e al deficit di autonomia dei giovani (due su tre vivono coi genitori), fino a chi i figli dice di non volerne (secondo l’Istat oltre il 10% delle 18-49enni).
Proprio questo ultimo aspetto può essere preso ad esempio per capire cosa si intende per “narrazione”, parlando di natalità. Le previsioni dicono che un quarto delle nate nel 1980 resterà senza figli. La componente delle donne svincolate dalla prospettiva della maternità è in crescita da tempo, e il racconto su questa evoluzione tende spesso a dipingere un quadro caratterizzato da forti convinzioni, storie di successo frutto di una libera decisione, che riguarda soprattutto persone affermate, in carriera, che vivono in territori sviluppati. Ma è veramente possibile dividere i non genitori in gruppi contrapposti tra chi ha scelto e chi no questa condizione? O i percorsi della vita sono meno scontati e un filo più complessi?
Una ricerca condotta da Francesca Luppi e Alessandro Rosina per l'Osservatorio Giovani e ripresa di recente su Neodemos apre lo sguardo a un panorama meno scontato: se si guarda alle donne tra i 30 e i 34 anni che non hanno figli, definite anche “childless”, il 19% dice di non volerne affatto, il 26% è debolmente motivata a diventare madre, mentre il restante 55% i figli li desidera eccome. Ovviamente le aspirazioni possono cambiare nel tempo a seconda delle circostanze, i due gruppi mostrano però alcune differenze significative: le “childfree”, cioè le donne che non vogliono figli per nessuna ragione, rispetto al resto delle “childless” , hanno mediamente titoli di studio più bassi (25% di laureate contro il 32%), meno relazioni stabili (31% contro 50%), redditi inferiori (a guadagnare meno di 500 euro al mese è il 41% rispetto al 23%) e più spesso non studiano e non lavorano (27% di “Neet” contro il 23%).
Ciò che emerge, insomma, non è proprio una storia di autentica emancipazione, ma una vicenda piuttosto lontana da quella narrazione tanto in voga che arriva fin quasi a compiacersi dell’assenza di bambini. È la vita delle persone che, in una società complessa, deve fare i conti con le sfide di una realtà sfaccettata: ci sono condizioni che rendono più difficile pensare a una famiglia, anche se magari poi tutto cambia, perché con l’amore non si sa mai, altre che invece consentono di desiderare dei figli, mentre alla fine prevale la carriera o altro, e in fondo può andare bene lo stesso.
I figli oggi non sono più l’unica opzione per realizzarsi, eppure continuano a popolare la prospettiva del desiderio di donne e uomini, e non si dovrebbe avere timore di ammetterlo. Perché se veramente c’è una libertà di scelta da difendere, l’esito di questo impegno dovrebbe condurre a rimuovere tutti gli ostacoli, materiali, culturali, ideologici, che rendono faticoso il cammino per diventare genitori. Diversamente, è come fornire incentivi alla denatalità.