Attualità

Funerali di Stato. L'addio a Silvio Berlusconi nel Duomo di Milano

Paolo Viana mercoledì 14 giugno 2023

I funerali di Silvio Berlusconi a Milano

Duomo. Il vagone della linea 3 sfreccia davanti alla banchina buia, senza fermarsi. La biondina in tailleur di Gucci scalpita davanti alle porte scorrevoli e non si capacita: «Oggi in Montenapoleone non si trova un taxi, adesso persino la metro che salta la fermata di piazza Duomo…»

Sic transit gloria mundi. Inutile spiegarle cosa sia un funerale di Stato; che il cuore di Milano si è fermato perché una “capitale” fa così, quando scrive una pagina di Storia; che quel signore canuto, arrivato poco prima del feretro e molto applaudito dalla piazza, ci sta mettendo la firma, su quella pagina. Seduto a fianco della bara, in totale silenzio, ieri pomeriggio il presidente Mattarella ha ricucito in un’ora quarant’anni di divisioni.

Ai piedi della Madonnina, Silvio Berlusconi arriva in auto alle 14.55. C’è un sole che sembra di stare a Roma. Lo aspettano quindicimila persone, il popolo “berlusconiano” della politica, del calcio e della tivù. Non la folla “inverosimile” di piazza San Giovanni, dove il 13 giugno del 1984 un’altra Italia prese congedo da un altro leader.

Sono passati quasi quarant’anni dai funerali di Enrico Berlinguer. Adesso, la partecipazione popolare segue vie catodiche, ma chi si trova in piazza del Duomo in questo 14 giugno ha la sensazione di vivere un altro momento di svolta. Anche dentro la cattedrale, dove il premier Giorgia Meloni fissa il vuoto, cercando una risposta ai dubbi sulla fedeltà di Forza Italia.

Non si intercetta invece lo sguardo di Marina Berlusconi, nascosta dagli occhiali scuri. Vicino a lei, i fratelli Piersilvio, Luigi, Eleonora e Barbara. E’ gonfio di dolore, lo sguardo fisso di Marta Fascina, l’ultima compagna, ancorché convolata a nozze non ufficiali e oggi al centro dei pettegolezzi sulla revisione del testamento del marito. Tiene per mano Marina, la vera erede dell’impero. È presente anche Veronica Lario, la seconda consorte, mentre non partecipa al rito Carla Dall'Oglio, prima moglie e madre di Marina e Pier Silvio. Ha scritto nel necrologio che è stato «un grande uomo e uno straordinario padre».

Perché i Berlusconi restano una famiglia, ancorché di Stato. Al termine della cerimonia funebre, mentre il feretro lascia la piazza e la folla intona l’inno di Mameli, Marta bacia la bara, il fratello Paolo piange, piangono i figli e qualche nipote. Avviene, insomma, tutto ciò che avviene in ogni funerale. C’è anche il saluto finale dei figli a chi sta fuori, in piazza, dal momento che il rigidissimo protocollo limita l’abbraccio finale ai soli invitati, che in questo caso sono i vertici dello Stato e della finanza, dello spettacolo e dello sport.
L’uomo del Predellino, non avrebbe gradito tanta distanza dal suo popolo, assiepato dietro le transenne. Questo, però, è un funerale di Stato e questa non è solo una famiglia numerosa - due mogli, cinque figli e diciassette nipoti, senza contare la “grande famiglia” delle aziende Fininvest - ma è anche una corte dei tempi moderni, un simbolo di potere e di storia. Per quanto oggi reciti le orazioni sulla bara di mogano dell’Honduras, coperta da una croce di rose rosse e bianche, con tutta la compostezza delle grandi famiglie borghesi. Quel “grazie ancora” di Piersilvio, che si sporgerà dal finestrino ad Arcore, per salutare i fan al rientro del feretro a Villa San Martino, rappresenta il dolore che cede il passo al difficile ma inevitabile galateo di questi momenti.
L’interpretazione olistica della vita (e della morte) dei Berlusconi prende corpo anche nell’omelia funebre. «Vivere e amare una vita piena - dice durante le esequie l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, tratteggiando impagabilmente l’indole creativa del defunto, uomo politico, uomo d’affari e personaggio della vita pubblica del Paese -. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita che trova in Dio il suo giustizio e il suo compimento».

Il pubblico è assorto e sorpreso. Anche Fedele Confalonieri e Gianni Letta, che di quella vita hanno condiviso assai. Sono la memoria del passato, di quello bello e di quello meno commendevole. Tra i banchi della cattedrale, non c’è traccia di Olgettine, si è come dissolto il popolo dei Bunga Bunga, è sparito quello delle Procure. C’è tanta politica, al contrario, e ci sono i dirigenti dell’universo Fininvest, in rigoroso abito scuro e mogli dal lusso composto.

Il loro lutto si percepisce non nelle lacrime ma nell’understatement. Non si può dir lo stesso del mondo dello spettacolo, che vive un’improvvisa orfanezza. Piccoli e grandi divi paiono irriconoscibili senza abito di scena. Non ci credono ancora. «Ma se pochi giorni fa i comunicati della famiglia dicevano che stava bene…» La dichiarazione di Emilio Fede fa il giro del web: «Non posso pensare che non ci sia più. Un anno fa ho perso mia moglie e adesso lui, che è stato la mia vita».

I titoli di coda non sembrano neanche reali a chi vive al di là dello schermo. Non vale per tutti. Ad esempio, Iva Zanicchi, che tra cinema, teatro, tv e politica ha una biografia da far invidia al Berlusca, non si lascia irretire dalla tristezza e ricorda che «Silvio ha creato dal nulla una televisione competitiva con la Rai, con la Rai sto dicendovi! Per fare quello che ha fatto lui servirebbero quattro vite».

Berlusconi, è la convinzione comune, ha rivoluzionato a tal punto tivù e pubblicità che diventa difficile pensare il futuro della comunicazione senza di lui. Gerry Scotti ricorda che gli ha cambiato la vita ma soprattutto che ha «accelerato il cambiamento della televisione e dei consumi. Chiunque poteva applicare il modello americano in Italia, ma lui lo ha fatto».

E Urbano Cairo, che secondo alcuni potrebbe assumere il controllo di Mediaset (avrebbe visto il Cavaliere tre volte in questi mesi), ricorda che la tv commerciale «ha dato una spinta incredibile a tante piccole aziende che non potevano accedere alla pubblicità della Rai e lo stesso mondo pubblicitario che prima era chiuso e limitato con Berlusconi si è aperto».

Intanto, Rai e Mediaset trasmettono le esequie a reti unificate. Non possono inquadrare “l’amico” Vladimir Putin perché nessun esponente russo è stato invitato, mentre si notano Viktor Orban, presidente dell'Ungheria, l'emiro del Qatar Hamad al Thani e il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, nonché l’ambasciatore d’Israele; esattamente come ci sono le massime cariche dello Stato presenti e passate, compresi Monti, Draghi e Renzi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il commissario europeo Paolo Gentiloni, e i segretari dei partiti e quello della Cisl, Luigi Sbarra.

Il vero protagonista, anche nelle riprese televisive, resta però Mattarella. Col suo silenzio orante, ricorda Almirante, che andò a rendere omaggio a Berlinguer, sancendo con quel gesto la distanza tra politica e guerra. Le polemiche sui funerali di Stato sono l’ultimo strascico di decenni di antiberlusconismo e il capo dello Stato le recide sedendosi di fianco al morto.

Mentre i funerali si concludono, sventolano ancora le bandiere in piazza Duomo. Rosse nell’84, rossonere oggi. Il calcio è l’amore vero del Cav, quello sempre e comunque corrisposto. In chiesa ci sono il presidente del Milan Paolo Scaroni, Arrigo Sacchi, Franco Baresi e tanti altri calciatori e allenatori. Ovviamente, c’è l’amministratore delegato del Monza e grande amico del Berlusca, Adriano Galliani. Ma tutto finisce e dalla piazza si leva un coro. E’ l’estremo saluto al feretro ed è rossonero. L’urlo della “sua” curva sud: “un presidente! c’è solo un presidente!”.

Per leggere l'articolo sull'omelia dell'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, clicca qui