Attualità

L'INCHIESTA. L'altra Italia ferita dai giganti di acciaio

martedì 21 agosto 2012
Non solo Ilva. L’Italia fa i conti con l’incompatibilità tra sviluppo industriale e rispetto dell’ambiente da Nord a Sud. In particolare nel settore siderurgico. Le ragioni? Sono sempre le stesse. Quelle che i giudici di Taranto ancora ieri hanno elencato spiegando le ragioni del loro “stop” agli stabilimenti dell’Ilva: ritardi. Lacune nei protocolli. Mancanza di intese con le amministrazioni locali. E impianti vecchi, che andrebbero rimessi al passo dello sviluppo tecnologico degli ultimi anni grazie a piani di investimento graduali. Il copione si ripete anche nella ricca Trieste, dove il grado di sopportazione della gente – dicono – è più alto di quello di Taranto. Dove si muore e ci si ammala. E dove si vuole anche continuare a lavorare, però. A Terni i timori sono per il futuro della Thyssen, che se poco ha investito sulla sicurezza dei suoi dipendenti in passato, qualcosa ha fatto invece per l’ambiente e che oggi vuole fondersi con un altro colosso, finlandese. In Sicilia, invece, è emergenza. per 320mila persone. E il dibattito sulla necessità delle bonifiche è ancora un miraggio.TRIESTE. A SERVOLA SI RISCHIA UNA TARANTO "BIS"È stato lo stesso ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ad affermare perentoriamente, nei giorni scorsi a Trieste, che la Ferriera di Servola non deve diventare un’Ilva 2. La Ferriera è un’azienda siderurgica storica che da anni scatena le proteste di chi vive attorno ai suoi impianti. Il motivo? L’Arpa ha rilevato medie mensili di benzoapirene di 3,8 microgrammi per metro cubo a gennaio, di 5,3 a febbraio, di 5,5 a marzo, mentre una legge regionale pone il limite massimo di 1 microgrammo. Il dato medio annuale – considerando pari a zero i valori dei prossimi mesi – risulterebbe di 1,63. Il Comune sta tenendo d’occhio le emissioni e l’assessore Umberto Laureni ha verificato di persona, anche nei giorni scorsi, se la società Lucchini, proprietaria dell’impianto, stia attuando gli interventi tecnici prescritti dal sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, ancora lo scorso mese di gennaio. «Per la cokeria ci siamo, sebbene rimanga irrisolto il problema delle fughe per sovrappressione dalla parte alta dell’altoforno». E ancora: «Il trend delle concentrazioni di benzopirene in tutte le stazioni di rilevamento della zona è da marzo a maggio in costante diminuzione».La grande preoccupazione, alla luce di quanto avvenuto a Taranto, è di ciò che potrebbe accadere dopo il 2015, quando si concluderà il mandato della Ferriera. «I fatti di Taranto sono la fotocopia di quanto denunciamo da anni – dicono al circolo Miani, che ha organizzato proteste anche in questi giorni –. C’e una sola grande differenza fra Trieste e la città pugliese: là la magistratura ha fatto quanto era giusto si facesse, qui tutto continua come se mai nulla fosse accaduto». La Procura smentisce. «Abbiamo da tempo delle indagini in corso relative a tutte le segnalazioni che sono pervenute e pervengono alla Procura e che riguardano una possibile o probabile attività di inquinamento da parte della Ferriera», rassicura il procuratore Michele Dalla Costa. Anche il ministero dell’Ambiente, dal canto suo, ha attivato un gruppo istruttore affinché si chiuda entro pochi giorni la valutazione nel merito del sito e dello stato delle operazioni di bonifica e di messa in sicurezza.Il ministero dell’Economia intanto ha inviato una lettera sul futuro della Ferriera. Il futuro siderurgico, ma anche industriale e logistico. I sindacati hanno firmato, Confindustria pure, Provincia, Comune di Trieste e Regione no. Sindacati e Confindustria si augurano che questo futuro coniughi l’attività industriale con le esigenze dell’occupazione, da una parte, e quelle dell’ambiente dall’altra. Il Gruppo Lucchini ha incaricato un advisor di trovare possibili acquirenti. I possibili investitori sono stati individuati ed a loro è stato trasmesso un dossier finalizzato all’acquisizione di tutto il gruppo, di cui fa parte lo stabilimento triestino. «Per me è importante una soluzione riguardo alla questione ambientale – ha spiegato in questi giorni Federica Seganti, assessore regionale alle attività produttive –, ci vuole una risposta ai lavoratori ma anche alla gente di Servola che vive alla canna del gas. Siamo in una situazione gravissima. Da noi non succede come all’Ilva solo perché qui la gente ha un grado di sopprtazione che va oltre i limiti normali». Francesco Dal Mas 
GELA. ALLARME CANCRO E MALATTIE PER 320MILA PERSONE
Una percentuale di tumori superiore alla media nazionale, un’alta diffusione delle malattie dell’apparato respiratorio, una presenza consistente di neonati con malformazioni dell’apparato genitale e, in qualche caso, contaminazione del suolo. Lo sfruttamento petrolifero della Sicilia ha compromesso il destino di alcune zone del litorale dell’isola, dove, accanto a insenature e panorami mozzafiato, sono germogliate ciminiere e giganti d’acciaio per raffinare una materia prima che ha garantito lavoro, ma anche un alto tributo di vite umane.Non ci sono sentenze giudiziarie che certifichino rapporti di causa ed effetto fra tumori, decessi e situazione ambientale, ma centinaia di denunce di famiglie e studi epidemiologici su quattro zone, che contano la presenza di circa 320mila abitanti, dimostrano che si tratta di un allarme giustificato, a cui è necessario dare risposte.Il progetto Sentieri, finanziato dal ministero della Salute, riguarda l’analisi della mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di una serie di grandi centri industriali. Il recente studio affronta la situazione di Gela, sulla costa meridionale della Sicilia, dove lavoro e sviluppo hanno sempre fatto rima con petrolio, grazie allo stabilimento dell’Eni voluto da Enrico Mattei, oggi in profonda crisi. Ma negli anni migliaia di operai, intere famiglie, hanno raffinato carburante e prodotto concimi chimici e materie plastiche. Confrontando i dati raccolti in questi anni «il segnale più evidente è quello di un eccesso di tumori polmonari sia tra gli uomini sia tra le donne». Ma nel monitoraggio viene accertata una «grave contaminazione del suolo e delle acque». Moltissimi bambini all’inizio degli anni Duemila sono nati con malformazioni, soprattutto ipospadia (problemi ai genitali) e microcefalia. Nel 2006 un centinaio di famiglie di ex operai del reparto Clorosoda, falcidiate dal cancro, hanno deciso di fare causa all’Eni. Dal 2008 la procura di Gela ha aperto un’inchiesta, l’Eni è disponibile ad aiutare le vittime. E 360 denunce pendono in procura anche sulle conseguenze che l’esposizione all’amianto avrebbe avuto sugli operai.Situazione simile anche nell’area di Priolo, Melilli e Augusta, in provincia di Siracusa, anche questa vocata all’industria petrolchimica, dove lo studio epidemiologico ha riscontrato picchi di mortalità per tumore, in particolare all’apparato digerente per le donne e ai polmoni e alla pleura per gli uomini, ipospadie nei neonati. Stesso tipo di malattie e cause di morte nell’area di Milazzo, in provincia di Messina. «Un’indagine sulla prevalenza dei nati malformati nel periodo 1991-2000, ha evidenziato un eccesso delle ipospadie e delle anomalie del sistema digerente ad Augusta, Priolo e Melilli» rivela lo studio, che sottolinea anche un eccesso di «mortalità nel primo anno di vita per alcune condizioni morbose di origine perinatale» nella zona di Milazzo. Infine, percentuali di mortalità superiori alla media anche a Biancavilla, nel Catanese, dove è presente una cava di materiale lapideo contaminato da fluoro-edenite.Questi dati e quelli del Registro tumori regionale sono stati analizzati e divulgati dal responsabile diocesano del Movimento lavoratori di Azione cattolica di Siracusa, Antonello Ferrara, che, guarda caso, è di origine tarantina e ben conosce anche la situazione dell’Ilva. «Come è stato giustamente pensato di attivare delle politiche di risanamento ambientali anche nei quartieri a rischio intorno all’Ilva di Taranto, occorrerebbe un metodo simile in tutti i siti siciliani», afferma.
Alessandra Turrisi
 
TERNI. DAL COLOSSO DELLA THYSSEN 20 MILIONI PER L'AMBIENTE
Anche Terni trattiene il fiato per il futuro della sua acciaieria, per motivi economici prima che ambientali.
Si decideranno soltanto in autunno, infatti, le sorti dello stabilimento, dopo lo scorporo del settore stainless da parte della multinazionale tedesca ThyssenKrupp (interpretato da molti come una “vendetta” per la sentenza di Torino), la costituzione della nuova società Inoxum – nella quale sono confluite tutte le società del gruppo attive nel settore inossidabile compresa l’Acciai Speciali Terni – e la proposta di acquisizione da parte della società finlandese Outokumpu. Una fusione che la Tk in realtà avrebbe scelto di fare con questo partner industriale – e non con un più rischioso fondo d’investimento americano – con l’obiettivo di portare le acciaierie ternane a far parte del maggiore polo siderurgico mondiale.Il 26 settembre, dunque, scadrà il termine fissato dalla Commissione europea per la concorrenza (Antitrust) che dovrà stabilire se la fusione tra i due colossi dell’acciaio determini una posizione dominante sul mercato e, di conseguenza, riduca la concorrenza effettiva nello spazio economico europeo. Da lì si delineerà il futuro dell’Acciai Speciali Terni, che rappresenta oggi un polo industriale da 2.872 dipendenti oltre ai 2.500 che lavorano nell’indotto, che vanta imponenti impianti ad alta tecnologia. E che nel corso degli ultimi vent’anni ha dovuto fronteggiare, proprio come l’Ilva, anche la questione dell’inquinamento, con cause e proteste sollevate dalle famiglie residenti nella zona adiacente agli impianti a causa delle polveri sollevate dalla produzione di acciaio. La reazione dei tedeschi è stata determinata, già alla fine degli anni Novanta e investimenti per circa 20 milioni di euro sono stati fatti per migliorare le condizioni ambientali del territorio con la realizzazione, due anni fa, di un nuovo impianto di aspirazione e abbattimento delle polveri emesse dal forno fusorio. Il tutto in base a un protocollo d’intesa ambientale sottoscritto, oltre che dal complesso siderurgico, anche da Comune e Provincia, Regione ed Arpa finalizzato all’istituzione di un “tavolo tecnico” per definire interventi a breve, medio e lungo termine volti alla riduzione delle emissioni in atmosfera, alla depurazione delle acque reflue industriali, alla bonifica del suolo in cui è stata riscontrata la presenza di metalli, all’individuazione delle risorse energetiche a minor impatto ambientale, alla rivalutazione ambientale delle aree limitrofe all’insediamento industriale.La qualità dell’aria di Terni presenta delle criticità dovute soprattutto alle polveri sottili, ossidi di zolfo e ossidi di azoto, ma che risulta cento volte inferiore a quella di Taranto e quasi 20 volte inferiore a quella di Livorno secondo i dati del registro Ines (l’Inventario nazionale emissioni e loro sorgenti).
Elisabetta Lomoro