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Migranti. Khalif, che a 9 anni ha attraversato da solo l'Africa: «Aiuterò mia madre»

Nello Scavo, inviato a bordo della Mare Jonio venerdì 30 agosto 2019

Non ha tempo per la nostalgia. Lui è un migrante. Uno che ha attraversato il Sahara, ha lavorato come garzone per pagarsi la tappe successive. È entrato in Libia di notte, con il cielo stellato che gli preannunciava fortuna. Lui ce l’ha fatta. Ed è questo che conta. Non gli insulti degli aguzzini libici. Non i capricci sporchi dei guardiani della prigione. Non i piedi che gli fanno male per quante volte lo hanno picchiato perché si mettesse in riga e chiedesse altri soldi. Lui ha lo sguardo da duro. Come duro può essere un bambino di 9 anni che di sera, quando gli dicono che sbarcherà e finalmente raggiungerà l’Europa, scoppia in lacrime.

Khalif è originario del Mali. I capelli corti e una maglietta troppo grande per farlo sembrare davvero grande. Non voleva che si sapesse quello che ha dovuto passare. Voleva che si sapesse il perché. «Sono partito perché devo studiare e lavorare». Non una cosa alla volta. Tutto insieme. «Quando sarò in Europa potrò mandare soldi ai miei genitori». Finalmente, l’argent, dice sognando in un dolce francese del deserto una vita che non sarà affatto facile conquistare. «Lo so», risponde sicuro. «Ma è sempre meglio che da noi. Sarei finito a fare il soldato. Mia mamma dice che non è giusto uccidere». Così un anno fa si è messo in cammino, da solo.

Hai qualcuno ad aspettarti in Italia o da qualche altra parte? Domanda inutile per un ragazzo sveglio. «Non ho nessuno dice, farò tutto da solo». Promette che chiamerà i suoi genitori dall’Italia. Dice che saranno felici del loro piccolo eroe maliano. Lo dice, stavolta, come lo direbbe un bambino che vuole diventare astronauta. Lo dice guardando il mare. Quel mare che aveva osservato sgomento, una volta gettato dentro al gommone. Quel mare che se lo stava portando via, non fosse stato per la provvidenziale disubbidienza dei volontari di Mediterranea. Khalif vuole il nostro numero di telefono. Non se lo scrive. «Li ricordo tutti a memoria», dice. E quando gli chiedi se magari ricorda il numero del trafficante, sorride da adulto che con un lampo dello sguardo, reagisce scaltro: «Ormai di quello che è successo non voglio ricordare niente».

La nave dei bambini è una sorpresa in 98 persone. Marianne è gelosa delle sue trecce. Per mostrarle chiede ogni volta un selfie. Ma a condizione di lasciarle il telefonino per guardarsi e riguardarsi. Vedersi ritratta accanto a un bianco la fa sbellicare come avesse accanto un Pulcinella. «Selfie, selfie» dice a chiunque le capiti a tiro. Durante il viaggio con Mare Jonio i migranti hanno rispettato le regole per navigare in sicurezza, spesso cooperando di propria iniziativa con la meglio gioventù in maglietta azzurra che all’alba del giorno prima li aveva rubati uno ad uno al precipizio verso gli abissi.

Maschi da una parte, donne con bambini dall’altra. Questi erano i patti. Nessuno, però, se l’è sentita di richiamarli all’ordine quando ordinatamente si sono ricomposte le giovanissime famiglie. Famiglie nate per disavventura. Nessuna delle donne con figli ha con sé il padre del bambino. Chi morto in guerra, chi sparito in qualche traversata, chi abbandonato dopo un matrimonio forzato. In Libia, nonostante le botte e gli abusi, il dolore non ha prevalso. E ora sono nate le famiglie del mare. Finalmente insieme.