Migliorare subito le condizioni del centro di Lampedusa e i soccorsi in mare, poi dividersi le responsabilità tra paesi europei e varare forme di intervento sui paesi di transito. Laurens Jolles, delegato Acnur (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) per il Sud Europa ha una visione chiara. Che parte da un assunto, rispetto alla situazione libica: «Nulla è cambiato dai tempi di Gheddafi - afferma - non solo non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, ma non è cambiato il trattamento umanitario riservato ai migranti, che sono rinchiusi nei centri di detenzione mentre chi fugge da guerre e conflitti ha tutto il diritto di chiedere protezione internazionale».
Il flusso degli sbarchi rallenterà?Con l’arrivo dell’inverno ci sarà un rallentamento. I flussi sono comunque ancora simili a quelli degli anni precedenti dal punto di vista numerico e dalla nazionalità degli arrivi. Ci sono due sostanziali novità: l’arrivo dei profughi siriani in Libia e il fatto conseguente che le partenze dall’Egitto si sono ridotte. Poi l’emergenza purtroppo proseguirà.
Qualcosa è cambiato dopo il naufragio del 3 ottobre?Mi pare che i governi dell’Unione europea dimostrino maggiore sensibilità. La riprova è il pattugliamento in mare per prevenire altre sciagure che l’Italia ha avviato con l’operazione Mare nostrum coinvolgendo altri partner europei. Prima del 3 ottobre si pattugliava per contrasto. Era una delle mosse di corto periodo da avviare. L’Italia e Malta, i paesi in prima fila, ma soprattutto l’Italia, hanno, però, bisogno di venire affiancati da altri partner europei nell’accoglienza dei rifugiati e nel post accoglienza, cioè l’inserimento lavorativo e sociale. C’è poi il problema di chi non ha titoli, non può venire rispedito in Libia. Le buone intenzioni ci sono, vediamo se saranno seguite da fatti concreti.
Cosa altro andrebbe fatto sul breve periodo?Aumentare la capacità di accoglienza in Italia e in particolare a Lampedusa, dove ci sono solo 250 posti mentre due anni fa erano 850 e il sovraffollamento diventa inevitabile. Deve tornare ad essere un luogo di transito dove sostare al massimo 48 ore.
E sui paesi di transito come la Libia come intervenire?Servono interventi di medio periodo. In Libia, ad esempio serve certamente un lavoro di formazione sulle guardie di confine, ma l’Unione europea deve pensare anche ad altri provvedimenti che prevengano i pericoli dei viaggi mare. Un esempio di cui si è cominciato a discutere sono i visti di protezione. Ogni Paese europeo può concedere dei visti in un’ambasciata ad esempio in Libia che consentono l’accesso a richiedenti asilo solo nel Paese che li emette. Non sono soluzioni semplici da attuare, occorre la volontà politica dei Paesi dell’Ue per ripartirsi le quote di profughi, anzitutto, perché non ricadano su un solo Paese. Poi occorre mettere in piedi una macchina organizzativa complessa e costosa e, dato da non trascurare, prepararsi a gestire un flusso di migliaia di persone. Perciò deve essere una decisione presa da tutti gli Stati dell’Unione europea.
Sono praticabili i corridoi umanitari a partire dalla Libia, magari aprendo campi gestiti da voi per accogliere e riconoscere i profughi e poi reinsediarli in altri paesi?I corridoi umanitari servono per evacuare persone bloccate in uno Stato da un conflitto. La questione in Libia è diversa. Noi facciamo già il riconoscimento delle persone con diritto allo status di rifugiato, poi li mandiamo in altri Stati con operazioni di reinsediamento. Se ci fosse più disponibilità dai paesi europei potremmo già fare di più. Per l’apertura di un campo dell’Acnur, serve il consenso del Paese interessato, quindi della Libia. In questo momento la situazione non è facile.
Meglio l’Egitto?In questo momento si, ma da lì gli arrivi si sono ridotti parecchio.
Dobbiamo aspettarci una primavera di sbarchi?Le premesse ci sono tutte, ma spero che entro la primavera l’Europa abbia preso decisioni concrete.