Attualità

Riforme. Jobs act-flessibilità, il piano del governo

Marco Iasevoli martedì 2 settembre 2014
Bisogna provarci. È dura ma bisogna provarci. L’obiettivo è sussurrato quasi con prudenza: arrivare al vertice Ue di Milano su crescita e occupazione, fissato al 7 ottobre, con l’approvazione da parte di entrambe le Camere della legge-delega che dà mandato al governo di varare i decreti legislativi su contratto a tutele crescenti, riforma degli ammortizzatori sociali, revisione dello Statuto dei lavoratori e semplificazione del Codice del lavoro. Una mossa che accrediterebbe il tentativo dell’Italia di godere di maggiore flessibilità già dalla prossima legge di stabilità: «Così l’Europa capirà», assicurano gli uomini del premier. Si studia un piano fatto di tempi contingentati e riunione congiunte delle commissioni di Camera e Senato per evitare che la delega venga corretta da Montecitorio dopo il vaglio di Palazzo Madama. La riprova dell’accelerazione è la determinazione con cui il premier toglie l’articolo 18 dal confronto: «È un dibattito ideologico ». E fa di conto: «Su 40mila cause all’anno l’80 per cento finiscono con un accordo. Dei restanti 8mila, solo 3mila vedono il lavoratore perdere. Quindi si discute di un tema che riguarda 3mila persone l’anno in un Paese con 60 milioni di abitanti». Sono altri i problemi del mercato dell’occupazione, bisogna andare nella direzione del decreto Poletti già in vigore, che «da febbraio a oggi ha prodotto qualche migliaia di unità».  Allora avanti tutta sulla delega, senza impantanarsi sul totem della sinistra che Alfano vorrebbe abbattere per crescere in visibilità. «Vanno cambiati gli ammortizzatori sociali – superando di fatto la cassa in deroga con un sistema che sussidi, riqualifichi e cerchi una nuova opportunità a chiunque perda un posto di lavoro, ndr –, mentre con il contratto a tutele crescenti si avrà uno strumento sul quale credo ci possa essere ampia maggioranza in Parlamento», insiste il premier. Insomma, Renzi pensa di poter convincere il Pd a restare compatto sull’ipotesi che prevede la sospensione di fatto dell’articolo 18 nei primi tre anni di un contratto a tempo indeterminato. «Il punto – ripete –, non è l’articolo 18 ma un Codice con 2mila norme che vanno portate a 5070». Un intervento sullo Statuto ci sarà, ma riguarderà altri aspetti. E ancora, chiudendo le polemiche a distanza con Berlino: «Basta parlare male della Germania. Sul lavoro sono loro il nostro modello, quel sistema funziona». È anche un’indicazione di merito sulla filosofia del jobs act. Il varo della riforma e l’effetto che avrà su Bruxelles sono legati alla legge di stabilità. Ieri pomeriggio Renzi ha avuto l’ennesimo faccia a faccia con Padoan. Dopo aver risolto alcuni aspetti non risolti delle coperture dello sblocca-Italia, i due hanno cominciato a impostare il lavoro sulla manovra. E ne è emersa un’indicazione importante: limitarsi a confermare gli 80 euro non è sufficiente per stimolare la crescita. Vanno ricercate altre risorse, sia per estendere il bonus - come vuole il premier sia per andare incontro alle imprese ad esempio con un ulteriore sconto sull’Irap - come invoca sin dall’inizio il Tesoro - . Se l’Europa riconoscesse i nostri sforzi per le riforme già quando dovrà valutare la legge di stabilità, allora non si dovrà assistere al derby Irpef-Irap andato in onda quando fu varato il decreto degli 80 euro.  Perciò l’Ecofin che Padoan presiederà a Milano il 13 settembre è importante: lì il ministro dell’Economia porterà la sua proposta di flessibilità (deroghe al piano di rientro dal debito in cambio di riforme certe più scorporo di alcuni investimenti produttivi). E per risultare più credibile, anticiperà ai colleghi europei che l’Italia, nel Def, terrà il deficit 2015 al 2,6, a margine di sicurezza dal fatidico 3 per cento. Così come anticiperà il piano per controllare che i 200 miliardi stanziati dalla Bce finiscano davvero alle imprese e per 'punire' le regioni che non spendono i fondi Ue con il passaggio di competenze a Palazzo Chigi.