La proposta. Jekyll, manifesto di una destra che in Italia (ancora) non c'è
Salvini, Meloni e Berlusconi (Ansa)
Patriottica, ma non nazionalista. Decisionista senza scivolare nell’autoritarismo. Liberale, non ultraliberista. Senza nostalgie fasciste né prospettive sovraniste. È la destra che immagina il giornalista Filippo Rossi nel suo libro 'Dalla parte di Jekyll - Manifesto per una buona destra' (Marsilio, 190 pagine, 12 euro). Una destra tutta da costruire. Mister Hyde ha, per l’autore, la barba di Matteo Salvini, ma anche i capelli biondi di Giorgia Meloni e il doppiopetto di Silvio Berlusconi, definito «progenitore di tutti i populismi» e fautore di una «feroce antipolitica». Del resto, Rossi è uno dei reduci della sfortunata avventura di Futuro e Libertà (Fli), il partito fondato nel 2010 da Gianfranco Fini quando decise di svincolarsi dal Cavaliere.
Ma alla parte 'contro' è riservata meno di una ventina di pagine, quelle del prologo, intitolato significativamente 'Contro mister Hyde, ovvero il ripudio del cattiverio'. Gli altri 11 capitoli sono tutti dedicati a delineare l’identikit del dottor Jekyll, della «buona destra». Che è poi un centrodestra europeo ed europeista, ma l’autore preferisce il termine in uso in tutto l’Occidente (tranne che in Italia) dove 'destra' e 'sinistra' stanno a definire gli schieramenti politici che si affrontano senza mettere in discussione i fondamentali della democrazia liberale. Rossi non lo scrive, perché il volume è andato in stampa prima dei recentissimi rivolgimenti della politica nostrana, ma è evidente che non gli dispiacerebbe un Jekyll che abbia l’accento fiorentino di Matteo Renzi e indossi gli eleganti tailleur di Mara Carfagna.
Scenari tuttavia soltanto futuribili e, per il momento, smentiti dai diretti interessati. Ma al di là dei nomi, che cosa dovrebbe fare una «buona destra»? Dovrebbe riaffermare l’esigenza, per un popolo, di avere delle élite competenti, spazzare via la promessa ingannevole dell’'uno vale uno'. Dovrebbe essere «una destra gentile» e affermare le sue ragioni senza urlare. Dovrebbe avere un progetto («la città ideale »), combattere burocrazia e tecnocrazia con la creatività, ripudiare le ideologie e «il pensiero uniformato», amare l’Europa pur volendola migliorare. E amare l’Italia in modo inclusivo, aperto e accogliente. Perché «la patria deve essere vita: incontri, promesse, possibilità. È madrepatria solo quando l’amore per i suoi figli non sottrae, non divide».
Insomma, «è patria quella fatta dall’esperienza di tutti: dell’anziano, del bambino, della mamma, di chi lavora, dell’immigrato. Che poi è l’unico che fa bene alla patria stessa, perché la tiene in vita». Un «patriottismo repubblicano», dunque, che ricorda da vicino quello proposto da Fli nella sua breve stagione. E la ricchezza e varietà delle citazioni che Rossi inanella (da Nietzsche a Orwell, da Bauman a Vargas Llosa, da Bobbio a D’Annunzio, da Ravasi a Rodari, fino a papa Francesco) ricordano un po’ quel pantheon ideale di Alleanza nazionale, nel quale Fini volle mettere Rosmini, Croce, Mazzini e perfino Gramsci. Ma quello di Jekyll, per l’autore, deve essere un balzo nel futuro (prossimo) e non un ritorno al passato.
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