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Intervista. Il sindaco di Rimini: «Ius scholae la strada giusta. Stop a classi ghetto»

Diego Motta mercoledì 21 agosto 2024

Il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad

Negli anni Ottanta, Jamil Sadegholvaad era uno dei pochi bambini con cognome straniero. «Mia mamma è riminese pura, mentre papà era iraniano» racconta oggi che è diventato sindaco di Rimini. Laurea in scienze politiche, anni di lavoro alternati allo studio nel negozio di tappeti persiani aperto dai genitori. «Mi sono sempre sentito italiano, anche se ero quello con il cognome strano. Per questo trovo abominevole pensare che la cittadinanza oggi sia qualcosa da delegare al compimento della maggiore età. Basta pensare che il 65% degli studenti immigrati è nato nel nostro Paese. Un dato clamoroso». Sadegholvaad parte da un principio. «Integrazione non vuol dire omologazione. Io sono cattolico, mia moglie è spiritista, mio papà che non c’è più era musulmano. Ognuno è libero di sentirsi pienamente italiano e parte di una comunità con delle regole chiare».

Sindaco, il dibattito agostano sullo Ius Scholae è destinato a cambiare l’agenda della politica a settembre?

Purtroppo per la politica non è mai il tempo giusto per affrontare un tema così importante. Eppure su questo aspetto, si gioca un bel pezzo del futuro dell’Italia, a partire dalla capacità di integrare centinaia di migliaia di giovani. Dobbiamo investire su di loro, non è accettabile farli aspettare così a lungo. Poi, certamente, va riconosciuto che si tratta di percorsi complicati, ma penso che anche Giorgia Meloni, in cuor suo, sappia quando parliamo di cittadinanza ai ragazzi stranieri che si tratta di un processo alla lunga inevitabile.

Qual è la formula ideale a suo parere? Il suo partito, il Pd, è sempre stato a favore dello Ius Soli, pur dichiarandosi disponibile a riflettere anche sullo Ius Scholae…

Il Pd ha una sensibilità importante rispetto al tema dell’integrazione, per questo faccio parte della sua comunità. Personalmente, non sono per il rilascio facile della cittadinanza ai ragazzi stranieri, cioè per il cosiddetto Ius Soli puro, sul modello americano. Rischia di essere una bandierina ideologica. Lo Ius Scholae invece rende centrale la scuola e il percorso di istruzione e apprendimento della lingua italiana. È una strada giusta e saggia, da perseguire senza ideologie. Anche sui tempi: 5 o 10 anni di ciclo formativo per ottenere la cittadinanza non fanno tanta differenza, a mio parere. Come partito, mi pare che la strada intrapresa sia quella giusta di un lavoro quotidiano sul tema, di un impegno pragmatico a favore delle seconde e terze generazioni che abitano questo Paese.

Tanti ragazzi nati e cresciuti in Italia non nascondono le difficoltà dovute al fatto di sentirsi nel limbo e c’è chi segnala l’aumento di episodi di razzismo.

Se guardo alla mia storia personale, non mi sono mai sentito straniero dentro la comunità di Rimini. Dobbiamo evitare di dividerci, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. I primi a chiedere il rispetto delle regole, oltre all’esercizio del diritto di cittadinanza, sono gli stessi migranti, che chiedono il sostegno delle autorità quando vedono il mancato rispetto delle norme da parte dei loro connazionali: penso a certe famiglie del Maghreb o del Bangladesh che partecipano alla vita della nostra città. La vera discriminazione, semmai, arriva quando come istituzioni cediamo alle semplificazioni e non aiutiamo i processi di inserimento reale nella nostra società.

A cosa si riferisce?

Capita sempre più spesso di incontrare classi dove la stragrande maggioranza di ragazzi è di origine straniera: quello delle “classi ghetto”, da cui peraltro poi i genitori italiani tendono a spostare i propri figli, rappresenta un fallimento per la nostra scuola e per tutto il Paese. Quando vedo girare per le vie di Rimini, giovani di seconda o terza generazione che si muovono in branco, restando sempre tra di loro, mi piange il cuore. Anche per quei ragazzi è una sconfitta. Accoglienza e integrazione nascono da una contaminazione positiva e da costruire.

Che ruolo possono avere i sindaci e i Comuni in tutto questo? È pensabile ad esempio creare percorsi “ad hoc” per agevolare la richiesta di cittadinanza, accelerando i tempi rispetto agli iter tortuosi di oggi?

Accoglienza e integrazione chiedono passaggi delicati, da affrontare con la giusta consapevolezza. Come sindaco, ad esempio, mi sono impegnato per la costruzione di tre nuovi asili nido: secondo me, è un segnale chiaro che indica la priorità data ai bambini, di qualunque provenienza essi siano, e ai temi della natalità e dell’educazione.