Cittadinanza. Ius scholae, quel gelo che ignora la realtà (e Forza Italia)
Manifestazione per la cittadinanza agli stranieri negli anni scorsi a Roma
Un altro «no» sulla cittadinanza ai minori stranieri. Più pesante, perché pronunciato in un contesto “solenne”, istituzionale, in cui la premier non solo fa un bilancio dell’attività svolta, ma indica anche i prossimi passi del governo. «Questo governo ha risposto Giorgia Meloni alla domanda posta dal cronista di Avvenire - si deve concentrare sulle materie che ha nel suo corposo programma. Non metterei altra carne al fuoco. Sono convinta che quella italiana sia un’ottima legge sulla cittadinanza ». «Continuo a ritenere è la posizione della premier - che c’è una ragione per la quale lo ius soli e lo ius scholae non siano così diffusi nel mondo. È perché la cittadinanza di un minore è di solito collegata a quella della famiglia». Sembra, oggettivamente, un buttare la palla in tribuna. E dunque alla fine bisogna accontentarsi di un impegno “procedurale” cha la premier ha inteso assumersi: «Va affrontato invece - precisa Meloni - il tema sui tempi per ottenere effettivamente la cittadinanza una volta che hai diritto di averla. Avevo già chiesto di affrontarlo per capire come possiamo risolverlo. È un segnale che va dato». Nulla a che fare con lo ius scholae, con lo Ius culturae e, soprattutto, con lo Ius Italiae, la proposta messa a terra da Forza Italia per forte volontà politica del vicepremier Antonio Tajani. Una battaglia culturale e di posizionamento politico, quella ingaggiata dagli azzurri la scorsa estate, che continua a sbattere contro il muro della premier, di FdI e della Lega, per la soddisfazione di Matteo Salvini. Dal quartier generale forzista non arriva una sola sillaba di commento, né sulla conferenza stampa di Meloni in generale né sul tema specifico della cittadinanza ai minori stranieri. A dire il vero nemmeno il Carroccio fa la “corsa all’applauso”, perché Meloni, in conferenza stampa, una discreta dose di ghiaccio l’ha versata anche sui leghisti, ribadendo pubblicamente l’intesse di FdI a condurre la coalizione in Veneto. Ma tornando sulle modifiche alle norme per rendere cittadini italiani, più in fretta, minori che rispettino determinati criteri, in primis legati all’istruzione: Meloni derubrica la proposta di un alleato importante, che tra l’altro offre importanti sponde in Europa attraverso il Ppe, a semplice «carne a cuocere» di cui non si avverte la necessità. Nè apre, la premier, alla più consueta delle concessioni politiche: un “ne discuta il Parlamento” che spesso salva capra e cavoli. Nulla, non se ne discute. Eppure, nella domanda posta da Avvenire, sono stati ricordati centinaia di migliaia “italiani di fatto” che attendono di diventarlo anche nella forma. E per i quali le principali associazioni cattoliche e della società civile, con molteplici iniziative, hanno chiesto un segnale forte, non che anticipi le tappe, ma che semplicemente ratifichi un’integrazione già avvenuta nei banchi di scuola, sui campi di calcio, sulle piste di atletiche, negli oratori. Il «no» della premier riaccende per contrasto i riflettori sull’iniziativa referendaria: il quesito di +Europa che riduce i tempi a 5 anni a settembre ha avuto un boom di adesioni online. Se si andasse alla consultazione, il confronto bypasserebbe il Parlamento e risulterebbe inevitabilmente polarizzato. Ma la premier non ha dato disponibilità ad evitare questo scenario.