Manovra. Italia-Unione Europea, si prova il difficile negoziato sui conti
Negoziato difficile. Da sinistra, il vicepremier e ministro del Lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il vicepremier e ministro dell'Interno, Matteo Salvini (Ansa)
Sembrano aver scelto le parole insieme, Di Maio e Salvini. «Questa Commissione ha sei mesi di vita, è finita, nemmeno alziamo i toni con loro, saranno licenziati da 500 milioni di cittadini», dicono i due vicepremier in un coro a due voci che non si sentiva da un po’ di settimane. Linea dura, durissima, contro la prima lettera mandata venerdì sera dai commissari "economici" dell’Ue Moscovici e Dombrovskis, nella quale si esprimeva «seria preoccupazione» per il Def appena varato da Roma.
Uno scontro che ha portato a ipotizzare che il governo potesse adottare un "piano-B", ovvero la correzione delle stime macroeconomiche e delle misure della manovra durante l’iter parlamentare. «No, non arretriamo, non c’è nessun piano-B nemmeno se lo spread arriva a 400», assicura Di Maio. Poi, però, il vicepremier si fa carico di far capire che dopo il "blitz" del Def il governo è pronto ad aprire un negoziato per «spiegare» la nuova politica economica. «Ci prenderemo questo fine settimana per discutere di questa lettera a mezzo stampa - è l’accenno polemico -, ma apprezziamo che sia arrivata a mercati chiusi. Ci aspettavamo che la manovra non piacesse a Bruxelles».
Negare il "piano-B" significa due cose: da un lato non indurre la Commissione a pensare che Roma sia cedevole; dall’altro, serve a dire che il governo gialloverde non vuole stressare l’area euro sino a rompere la moneta unica, dato che "piano-B", nel mondo economico-finanziario, significa ItalExit. È quindi, quello di Di Maio, un inizio di trattativa, «una fase di interlocuzione». In realtà questa nuova fase è già iniziata e con l’uomo che non ti aspetti, il presidente della Camera Roberto Fico, il "volto rassicurante" del Movimento, in questi giorni in missione a Bruxelles per parlare con tutti i vertici comunitari e ribadire che l’Italia vuole restare nella Ue. Una perlustrazione cui dovranno dare seguito il premier Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, quello agli Affari europei Paolo Savona e il titolare del Tesoro Giovanni Tria.
Come si articolerà questo negoziato, è tutto da vedere. In effetti ciò che dicono Di Maio e Salvini ha un fondo di verità, ovvero l’Europa intera è in campagna elettorale verso maggio 2019 e il futuro Parlamento di Strasburgo avrà una composizione profondamente diversa dall’attuale per via dell’avanzata delle forze sovraniste. E certamente anche Juncker e Moscovici, i più "aggressivi" contro Roma, sono in campagna elettorale esattamente come i leader italiani. Ciò che accadrà dopo le Europee - quale maggioranza e quale Commissione si formerà - è tutto da vedere. È cioè da vedere se ci sarà un boato politico tale nel Vecchio Continente da ridefinire tutto, comprese le regole del fiscal compact.
È chiaro che l’esecutivo si muove, su tutta la linea, sul terreno della scommessa. «Siamo convinti che davvero faremo l’1,5 di Pil», ribadisce Di Maio. È l’azzardo più grosso. Ed è forse la stima - più del deficit - che potrebbe costare il "downgrade" del debito pubblico da parte delle agenzie di rating, il vero fattore rilevante che si abbatterà sui mercati a fine mese. Fattore rilevante anche per la compattezza della maggioranza gialloverde, che ora sembra totale. Ieri Di Maio ha fatto un accenno alla polvere che c’è sotto il tappeto: «La maggior parte delle misure di questa manovra sono nostre, perciò ci attaccano. Se un governo precedente avesse fatto queste cose sarebbe stato celebrato sui Fori imperiali. È il solito gioco per mettere il Movimento contro la Lega». È contemporaneamente una rivendicazione (sulla manovra detta il ritmo M5s) e un’ammissione (le misure varate possono essere fonte di tensione in caso di attacco speculativo al debito pubblico). E sono dichiarazioni che arrivano in un giorno in cui nuovi sondaggi portano la Lega addirittura al 34 per cento, 5-6 punti avanti al Movimento. Un nodo che il leader deve coprire giocando d’attacco per tenere buono il gruppo parlamentare e la base.
È Di Maio che quindi ha più interesse a guidare il negoziato con la Ue. Mentre Salvini resta sul tono polemico. «L’Italia è in una situazione difficili e loro sono degli sboccati», dice il presidente della Commissione, Juncker, a proposito dei due vicepremier. «L’Europa dei banchieri sarà licenziata tra sei mesi», torna sul tormentone del giorno il leader della Lega. Però anche dietro le parole piccate del politico lussemburghese si celano timide aperture: «Valuteremo la manovra e, se necessario, proporremo modifiche "sine ira et studio", senza pregiudizi, in una procedura normale. Mai paragonato Roma ad Atene». Normalità, c’è ancora un piccolo e complicato margine per una trattativa «normale».