Italia-Tunisia. Meloni: «Più migranti regolari». Ma scoppia il caso delle motovedette
Si presta a una doppia lettura la quarta visita in pochi mesi effettuata ieri dalla premier Giorgia Meloni in Tunisia. Da una parte, c’è il livello politico con l’implementazione orgogliosa di quel “Piano Mattei” con l’Africa che porta a sostenere i Paesi di partenza e transito dei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, cui va ad aggiungersi il segnale inedito di attenzione verso i canali migratori legali. Dall’altra, c’è la voce dalla società civile delle Ong che continuano a puntare il dito contro un Paese che non rispetta i diritti umani.
«Vogliamo lavorare soprattutto sui flussi regolari: come abbiamo fatto con il decreto flussi che consente a circa 12mila cittadini tunisini formati di poter venire legalmente in Italia» sottolinea la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con il presidente tunisino Kais Saied. «Sul fronte della migrazione legale credo si possa fare molto più da parte dell’Italia, ma è fondamentale che insieme lavoriamo per continuare a combattere gli schiavisti del terzo millennio, le organizzazioni della mafia che per fare soldi facili sfruttano le legittime aspirazioni di chi vorrebbe una vita migliore» ha dichiarato dopo l’incontro con il presidente tunisino.
Al centro dell’incontro, quel Piano Mattei che a Tunisi si è concretizzato con «tre intese molto importanti», come le ha definite la stessa Meloni e che riguardano il sostegno all’energia rinnovabile, la cooperazione nel settore delle università e della formazione e una linea di credito per le Pmi tunisine. Tre accordi dal valore di poco più di cento milioni di euro. Strumenti utili ed efficaci per tenere lontani i flussi dei migranti irregolari. Numeri alla mano: gli sbarchi provenienti dalla rotta tunisina, si sottolinea da Fratelli d’Italia, «sono diminuiti del 60 per cento nei primi mesi dell’anno e sono stati arrestati centinaia di trafficanti».
Anche il il presidente tunisino Kais Saied , mentre «rifiuta di essere un punto di insediamento o di transito per i migranti irregolari», ricorda «che la Tunisia, impegnata nella tutela dei valori umanitari, ha compiuto grandi sforzi per prendersi cura dei migranti irregolari, ma in quanto Stato di diritto non può accettare situazioni di illegalità sul proprio territorio».
Ma non la pensano così Ong e società civile che puntano il dito contro l’accordo con il Paese dall’altra parte del Mediterraneo. In particolare contro il finanziamento per la rimessa in efficienza e il trasferimento alla Tunisia di 6 motovedette. Lo stesso “modus operandi” messo in campo con la Libia e oggi ancora fortemente criticato da Asgi, Arci, ActionAid, Mediterranea Saving Humans, Spazi Circolari e Le Carbet. Le Ong denunciano «il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due paesi, nonostante la deriva autoritaria del governo tunisino, che dal febbraio 2023 ha perseguito una politica apertamente razzista e repressiva contro le persone migranti». Nel giorno in cui la premier Meloni è nuovamente in visita a Tunisi, le organizzazioni presentano ricorso al Tar. «Nell’ultimo anno l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nelle trattative per la firma del Memorandum tra l’Unione europea e la Tunisia e ha ampiamente finanziato le politiche di blocco della migrazione – affermano – La visita ufficiale della Premier Meloni a Tunisi è una conferma del rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due paesi». Nell’ambito di questa collaborazione, ricordano le organizzazioni, a dicembre 2023 il Ministero dell’Interno italiano ha stanziato 4.800.000 euro per la rimessa in efficienza e il trasferimento di 6 motovedette alla Garde Nationale tunisina, replicando un modello già adottato in Libia. Tale finanziamento è stato oggetto di contestazione da parte delle organizzazioni, che ora lo hanno impugnato con istanza cautelare di fronte al Tar del Lazio. L’udienza è fissata per il prossimo 30 aprile. Secondo le ricorrenti, la Guardia nazionale tunisina «é risultata responsabile di documentate violazioni dei diritti umani durante le violente intercettazioni in mare e dopo lo sbarco in Tunisia, paese che quindi non può essere considerato “sicuro” per i parametri della convenzione Sar».