La cassazione. Istigazione a delinquere, punto a sfavore di Cospito
Nuovo intervento della Cassazione che smonta la linea difensiva di Alfredo Cospito. In particolare sull’istigazione a delinquere, reato che l’anarchico della Fai-Fri avrebbe continuato a commettere anche dal carcere, prima di finire al 41-bis. E per il quale i giudici il 6 luglio 2022 lo hanno già condannato definitivamente per l’inchiesta “Scripta manent”, confermando 30 anni di reclusione per associazione terroristica, vari attentati e, appunto, istigazione a delinquere.
Ora la Cassazione interviene nuovamente annullando con rinvio l’ordinanza del tribunale del Riesame di Perugia che aveva “bocciato” l’operazione Sibilla, del novembre 2021, della procura di Perugia contro sei anarchici. Allora il Gip perugino, su richiesta del Pm aveva, tra l’altro, disposto la custodia cautelare in carcere per Cospito (che già si trovava dietro le sbarre per aver gambizzato l’ad di Ansaldo nucleare, Roberto Adinolfi). Tra le accuse anche l’istigazione a delinquere aggravata dalle finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, in relazione ad alcuni articoli, fatti uscire dal carcere, superando la censura (Cospito era allora al meno duro regime di alta sicurezza, il cosiddetto As2) e pubblicati sulla rivista clandestina Vetriolo, distribuita a livello nazionale. Una pubblicazione che inneggiava all’anarco insurrezionalismo e alle azioni violente, agli attentati contro giornalisti, forze dell’ordine, istituzioni e magistrati. «Colpire, colpire e ancora colpire - scriveva nel 2019 Cospito , forgiando con sangue, sudore ed immenso piacere il mito dell’anarchia vendicatrice, non rinunciare allo scontro violento con il sistema, alla lotta armata, costi quel che costi».
Cospito, scriveva il Gip, «rivendica l’uso della violenza da impiegare anche contro le persone». «Non stiamo parlando di semplici parole, nessuno vuole censurare il diritto di esprimersi aveva sottolineato il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone - quando però diventa uno strumento attraverso cui soprattutto il mondo giovane è coinvolto in attività illecite, siamo fuori dal diritto di libertà di parola». Circa tre settimane dopo le misure cautelari ordinate dal Gip, il Riesame aveva annullato l’ordinanza. Ritenendo, invece, gli scritti una libera manifestazione del pensiero che non aveva prodotto conseguenze.
Contro il provvedimento aveva fatto ricorso la Procura, che ora ottiene ragione dalla Cassazione. Bisognerà leggere le motivazioni, ma la Corte si era già espressa sul reato di istigazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta “Scripta manent” della Procura di Torino. In relazioni ad articoli, analoghi a quelli del Vetriolo, comparsi sulle pubblicazioni Croce Nera Anarchica e KNO3, i giudici scrivono che «sono finalizzati ad incitare in modo immediato la platea degli adepti e simpatizzanti dell’anarchia insurrezionale, alla pratica della lotta rivoluzionaria e dell’insurrezione, da realizzarsi in concreto attraverso azioni dirette e sabotaggi». Con «il concreto pericolo », aggiungevano, «della loro adesione, espressamente sollecitata, al programma illecito avente ad oggetto in via immediata e diretta azioni delittuose anche di matrice terroristica».
Dunque, articoli che «delineano una vera e propria chiamata alle armi, in rabbiosa reazione ai fermi di Cospito e Gai (per la gambizzazione ad Adinolfi, ndr), indicandosi con chiarezza la strada degli attentati dinamitardi ed esplosivi, anche per uccidere, come forma necessario di reazione rivoluzionaria, la cui legittimità anche in chiave terroristica è esaltata con l’apologia di efferati delitti di matrice anarchica e l’esaltazione dei rispettivi autori». Reati gravi, secondo la Cassazione, che ora lo ribadisce.