Attualità

SOLIDARIETA'. «Io terremotata d'Abruzzo oggi volontaria in Emilia»

Lorenzo Galliani martedì 5 giugno 2012
Da terremotata a volontaria della Protezione civile. La serenità di Sharon Caradonna, 23 anni, è una medicina per chi oggi non ha casa e barcolla tra la paura e la disperazione. Basta percepire quell’entusiasmo per capire: ricostruire una vita si può. «All’Aquila – ricorda – mi salvai solo perché, dopo il primo terremoto, andai a dormire da mia madre. La casa che avevo lasciato crollò alla seconda scossa, senza me dentro». La vita era salva, ma da riorganizzare. Anche perché, tra i tanti locali che finirono in macerie, ci fu anche il bar in cui Sharon lavorava. Come le centinaia di operai emiliani che, oggi, si ritrovano senza casa e con la fabbrica distrutta, la giovane abruzzese era confusa e disorientata. C’era da piangere, e tanto. Ma anche da rimanere sorpresi di fronte all’arrivo di un esercito pacifico di volontari con la pettorina gialla e la scritta “Protezione civile”. «Arrivavano da ogni città – racconta Sharon –: Milano, Roma, Napoli. Anche dall’Emilia. Per aiutarci. Grazie a loro, sentivamo che tutta Italia ci era vicina». Tre anni dopo, non ci ha pensato due volte e ha preparato lo zaino: «Era arrivata l’ora di ricambiare l’affetto e il sostegno che abbiamo avuto durante i momenti più difficili». A San Carlo, nel Ferrarese, la terra sembra bollire più del caffè che Sharon prepara agli sfollati. La Protezione civile aquilana, assieme a quella di Viterbo, ha fatto del centro sportivo una vera e propria tendopoli: chi prima era costretto al sacco a pelo ora ha un letto, e non è poco. A Cavezzo, il paese in provincia di Modena cancellato dal terremoto di una settimana fa, la colonna mobile dell’Abruzzo – 50 uomini e 25 mezzi – ha subito preparato 300 posti in tenda e installato una cucina all’esterno del campo per fornire 1000 pasti al giorno. Gli emiliani ringraziano, e si chiedono: finiremo dimenticati anche noi? Non c’è risposta, solo un lavoro che non finisce mai: sistemare la rete elettrica per dare illuminazione alle tende, coprire il prato di ghiaina per scongiurare gli allagamenti, chiamare da Altino (Chieti) un ospedale da campo con autolettiga e personale medico. Un container inviato da Giulianova a Carpi si trasforma in farmacia, sostituendo le tante rese inagibili dal sisma. E chi non può unirsi ai volontari della Protezione civile non si risparmia comunque: Confindustria e sindacati si uniscono nella raccolta fondi. Un popolo che potrebbe pensare a se stesso – e ne avrebbe tutto il diritto – ha il cuore in Emilia. Uno sforzo gigantesco; non abbastanza, purtroppo, per garantire un ritorno alla normalità a chi la scorsa settimana ha perso la casa. «Sono due situazioni molto diverse - riprende Sharon –. Il terremoto dell’Aquila ha causato centinaia di morti. In Emilia però continuano a esserci scosse molto forti. E, a San Carlo in particolare, le case continuano a sprofondare». Chi arriva per la prima volta nella piccola frazione di Sant’Agostino può avere perfino la sensazione di trovarsi in una località della riviera, vista tutta la sabbia finita sui marciapiedi: la spiaggia, quella vera, è lontana 70 chilometri. Si divertono i bambini, e solo loro; la perdita del sottosuolo interroga i geologi e spaventa i residenti. Fa paura quasi come l’ennesima scossa, potente e minacciosa (il termine “assestamento” non tranquillizza affatto: ricorda semplicemente che ne possono arrivare altre più forti). Ogni volta è un colpo al cuore, soprattutto per i vecchi del paese. Sharon esce dalla cucina: «Signora, vuole qualcosa?». Un caffè, grazie. Magari con il sapore della speranza.