«Dov’è la sveglia?» Il gesto automatico del risveglio trova, nella stanza d’albergo, il vuoto di un ripiano sconosciuto e la luce che filtra viene da sinistra, non da destra. Dove sono?Il ritorno alla realtà, dopo la giornata terribile della grande scossa, suscita uno sgomento mai provato. Il senso di un’estraneità che si sente foriera di angoscia. Il terremoto! La parola segue la percezione improvvisa come una ventata: e di nuovo mi trovo a tremare, di un tremito che nasce da dentro ma crea un movimento convulso delle mani. Perché è doloroso anche solo riviverli, quei momenti.Attimi apparentemente sereni in cui la fretta anticipa il movimento e l’attenzione si dirama su mille domande: sto per uscire, pettinarmi un po’ meglio, ricordarmi di spegnere il computer e la tv, ho preso l’agenda? E il cellulare? Ma di colpo il mondo si muove, le pareti sembrano inclinarsi verso di me: sto per svenire? Ma una corrente mi sta agitando, il respiro è affannoso, tremo tutta come se mi percorresse la scossa, non metto bene a fuoco ciò che guardo. Il terremoto... Già dieci giorni fa l’avevo avvertito, qui a Carpi, e ne ho tratto una memoria impaurita. Ora è tornato, sento: e sembra che qualcuno mi stringa minaccioso le spalle agitandomi con rabbia, con un astio malvagio che mi spaventa al di là della violenza che esprime.Intorno i vetri sembrano esplodere, le porte si aprono e le finestre sbattono con furia, sento cadere libri oggetti e quadri, mentre a tentoni mi avvio alla porta calpesto vetri e carte, e un suono cupo che forse immagino ma mi insegue sembra sottolineare ogni sussulto. Mi aggrappo allo stipite dell’uscio e la cornice metallica sembra tendersi sotto le mani per la vibrazione: la borsa è lì sulla sedia, la prendo di scatto come gettandomi nel vuoto, torno sulla porta e guardo la tromba buia delle scale. Scendere? Mi sosterranno?La porta si chiude dietro di me come spingendomi verso il vuoto. Affronto ogni scalino con un singulto, scuoto il cancello di ingresso con una paura che diventa forza, sono fuori. E solo allora mi accorgo, attraversando il giardino a fatica, che sto tremando visibilmente, i denti battono con forza, la gola è stretta. Sono fuori. E cado sul marciapiedi mentre sento i gemiti di una donna che passa correndo verso la scuola, i singhiozzi di due bambini abbracciati, il tossire strangolato di un uomo dagli occhi fissi.Il terremoto è cattivo, è la natura malvagia che ci rifiuta. Ma non è facile neppure uscirne, ricominciare a vivere altrove, perché la casa è inagibile e tutto ciò che è tuo ti viene sottratto. Non ci si prepara al terremoto. Non si studia la valigia adatta, come per le vacanze. E tutto ti manca. Il caricabatteria per il cellulare, il libretto degli assegni e il bancomat (ma lo accetteranno anche fuori regione?). Il contatto con il mondo diventa amaro quando devi cercare un rifugio (i documenti? Non li ho) o una farmacia che ti consegni medicinali prescritti dalla tessera delle “cronicità” anche se non hai la ricetta. L’uscire dalla casa, non per un viaggio preparato ma per una cupa necessità, si aggrava di mille constatazioni di perdita. E non riconosci neppure luoghi a te cari.La casa! Dove ci sono il Pc e il tuo diario, le scarpe comode e la camicia da notte, il libro da finire e le preziose foto che ti fanno sorridere mentre lavori. Sei uscita senza bagaglio, non solo quello concreto del necessaire (oh quanto necessario, comunque!) ma quello dell’accettazione. Il tremore dentro di te continua, anche se le mani sono ormai ferme, ma già pronte a stringersi con angoscia, per una eco di paura che non riesci a scacciare.