Attualità

IL RICORDO DI GIGI DE FABIANI. «Io, il primo giornalista nella banca»

Davide Parozzi sabato 12 dicembre 2009
Fu il primo giornalista ad entra­re. Quando lo scoppio dilaniò la città e strappò la vita di 16 in­nocenti, lui era a pochi metri. Impe­gnato come sempre a fare il suo me­stiere: quello di cronista. Gigi De Fa­biani, già vice direttore di Avvenire, quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 era in arcivescovado a Milano. Il portone d’ingresso derlla Curia a 20 metri dall’entrata della Banca na­zionale dell’Agricoltura. Gigi era lì perché era il capo della cronaca di Milano ed era andato in piazza Fon­tana 2 a ritirare il testo di un discor­so del cardinale Giovanni Colombo. Allora i computer erano ancora da venire e l’arcivescovo, una persona molto precisa, rivedeva personal­mente i testi pronunciati prima di consegnarli per la pubblicazione. De Fabiani, ancora oggi, a 40 anni di di­stanza, ha chiaro nel ricordo la tra­gica concatenazione dei fatti. «Ero in cortile – spiega – e stavo par­lando con Mapelli, l’autista dell’ar­civescovo. All’improvviso un boato tremendo, un’esplosione terribile: tutti ammutolimmo e restammo per un attimo come paralizzati. Poi io mi precipitai in banca » . E qui ad attenderlo, De Fabiani trovò l’orrore. Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, la voce si incrina al ri­cordo: quella scena di umanità vio­lata lo turba ancora. « Un quadro di dolore, di strazio – ricorda – che non mi dimenticherò mai e che mi ap­pare davanti agli occhi come se fos­se passato pochissimo tempo. Per­sone a terra che piangevano che chiedevano aiuto, che si lamentava­no negli ultimi istanti della loro vita. Con me, tra i primi ad entrare vi fu un sacerdote, don Corrado Fiora­vanti. Lo rivedo chinarsi su un uomo che spirava dicendo 'Mio Dio ho un­dici figli ...'. E poi un bambino che urlava, un giovane che chiedeva aiu­to, corpi dilaniati... un caos inde­scrivibile» . Passato il primo momen­to di choc, De Fabiani si mise ad aiu­tare come poteva fino all’arrivo, pres­soché immediato delle prime am­bulanze. « Mi ricordo che volevano farmi uscire, io non volevo andar­mene ma sopraggiunse il vicario ge­nerale, monsignor Giuseppe Schia­vini che mi disse di andare a parlare con il cardinale. Mentre parlava, Schiavini piangeva » . Il capocronista si precipitò dall’arci­vescovo e il presule, non appena sa­puto cosa era accaduto volle scen­dere nella banca lui stesso. « Appena entrato – ricorda ancora Gigi – da­vanti a quelle scene di dolore e di morte si fermò, si inginocchiò per terra e incominciò a pregare. Erano orazioni strane: gli uscivano dal pet­to come singulti. Lo vidi accarezza­re uno, due, tre e tanti altri feriti mo­renti e gravi. Infine la benedizione mentre nella sala terrena della ban­ca c’era solo odore di morte » . Poi la corsa al giornale dove ancora non era ben chiaro cosa fosse acca­duto: i primi resoconti parlavano in­fatti dell’esplosione di una caldaia. « Raccontai ogni cosa e al termine mi sentii male per l’emozione e il dolo­re; svenni. Mi ricordo che ripresi i sensi su una barella: volevano cari­carmi in ambulanza e portarmi al­l’ospedale ma non ne volli sapere. Mi rialzai e tornai alla mia scrivania a raccontare quanto avevo visto, il ma­le fatto a tutta quella povera gente » . L’ultimo fotogramma è per il giorno dei funerali, l’austera commozione della città e il suo desiderio di verità così bene interpretati dall’arcivesco­vo. « Mi ricordo il cardinale Colombo che ripeteva: giustizia, giustizia, giu­stizia di fronte alle bare e ai volti dei parenti degli uccisi. Purtroppo – con­clude Gigi De Fabiani – ancora oggi giustizia non è stata fatta » .