Invio di armi a Kiev. Il governo ritira l'emendamento in Senato
Niente proroga per ora sull’invio di armi a Kiev, comunque non senza un passaggio “vero” in Parlamento. Palazzo Chigi fallisce la spallata tentata con il blitz di lunedì in Senato, quando la maggioranza ha inserito a sorpresa un emendamento a un decreto inerente missioni Nato e sanità in Calabria per continuare a mandare aiuti militari all’Ucraina fino alla fine del 2023. La reazione delle opposizioni (Terzo polo escluso) sortisce l’effetto sperato e l’esecutivo, alla fine, ci ripensa.
Non è però una resa senza condizioni perché il ministro della Difesa,
Guido Crosetto
, ha già chiarito che un eventuale, alternativo, decreto armi ad hoc (la richiesta avanzata dal Pd), andrà comunque approvato entro fine anno e potrebbe essere varato già nel Cdm convocato per domani. L’imperativo è fare presto, pena la fine della «copertura giuridica con cui l’Italia sta dando seguito agli impegni presi in sede Ue e Nato», come ha ricordato lo stesso responsabile della Difesa. Una circostanza di cui sono consapevoli anche i dem, che potrebbero aver fatto leva affinché il governo accogliesse la proposta di un provvedimento dedicato, assicurando in cambio il sostegno alla politica estera del governo e guadagnando l’isolamento del M5s.
Il dietrofront è arrivato nel pomeriggio di ieri, dopo la rivolta delle opposizioni per il “colpo di mano” di Palazzo Madama e a seguito della discussione generale alla Camera delle mozioni sul conflitto. La squadra di Meloni ha avuto tempo di riflettere nel corso della seduta a Montecitorio, dove le posizioni di contrarietà alla modifica tentata dal governo sono state ribadite con forza.
Il capogruppo Pd in commissione Difesa a Montecitorio, Stefano Graziano, ha criticato duramente la strategia del governo, ponendo «questioni di metodo e di merito». Ma anche Simona Malpezzi, capogruppo al Senato, ha ricordato la richiesta del suo partito per «un provvedimento ad hoc», in coerenza con «la linea portata avanti da marzo». Diversa la scelta di Azione-Iv che, a differenza degli altri partiti d’opposizione, non si è scomposta più di tanto, riducendo la mossa della maggioranza a un gesto «poco elegante», come l’ha definito la presidente del gruppo Raffaella Paita, e specificando che per l’alleanza centrista «non era necessario ritirarlo».
Scontata invece l’intransigenza dell’alleanza Verdi-Si e soprattutto dei grillini: «Il Parlamento non è un ostacolo né un intralcio. Sulla guerra e sull'eventuale invio di armi torniamo a chiedere comunicazioni alle aule che consentano la formazione di un giudizio parlamentare – ha messo in chiaro il capogruppo 5s in commissione Difesa, Arnaldo Lomuti –. Si tratta di una questione di democrazia. Tanto più urgente alla luce della sorprendente decisione del governo, che ha deciso di infilare di soppiatto un emendamento dentro un altro decreto per prorogare di un altro anno l'invio di armi in Ucraina. Perché questi sotterfugi?». Una presa di posizione che ha consentito ai democratici di intestarsi il risultato ottenuto: «Ci sembra che il governo abbia compreso», ha rivendicato Malpezzi, ribadendo poi la «piena disponibilità a lavorare sul tema con serietà ». Crosetto, del resto, è stato piuttosto chiaro, dicendo di aspettarsi che «i parlamentari di opposizione rispettino l’impegno che ci ha portati, per dimostrare la volontà di dialogo del governo verso il Parlamento, al ritiro dell’emendamento».