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Il caso. «Inutilizzati 200 milioni del Pnrr. Servivano a sanare i ghetti dei migranti»

Antonio Maria Mira, Caserta sabato 1 giugno 2024

Rosarno (Reggio Calabria): scorcio della baraccopoli dove i braccianti in passato sono stati costretti, a più riprese, a vivere senza acqua né elettricità

Che fine hanno fatto i 200 milioni di euro previsti dal Pnrr per il superamento dei ghetti degli immigrati? Perché non è stato ancora nominato il commissario straordinario per agevolare la spesa di questi fondi? Era previsto dal decreto legge n.19 del 2 marzo 2024, doveva essere nominato entro 30 giorni, ma i termini sono abbondantemente scaduti. Lo denuncia con forza la Cgil, col suo segretario generale, Maurizio Landini e col segretario generale della Flai, Giovanni Mininni.

L’occasione è il Premio nazionale Jerry Masslo, promosso dal sindacato dei lavoratori dell’agroindustria per ricordare il bracciante sudafricano, ucciso il 25 agosto 1989, nel capannone di Villa Literno dove viveva assieme a decine di immigrati. Sfruttati come oggi. Tre giorni nel Casertano per fare memoria ma soprattutto per rilanciare l’impegno per la difesa dei diritti dei lavoratori. Allora quella drammatica morte portò il governo a varare, in tempi record, il decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416, la famosa “legge Martelli”, che all’articolo 1 riconosceva agli stranieri extraeuropei sotto mandato dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, lo status di rifugiato, eliminando la “limitazione geografica”. Allo stesso tempo si regolarizzarono i lavoratori stranieri presenti, con l’emersione di circa 220mila immigrati.

«Un Paese deve estendere i diritti e oggi invece si riducono – accusa Landini –. Il livello di precarietà e di abbassamento dei diritti sono sotto gli occhi di tutti». Ricorda, in questo senso i decreti dopo la strage di Steccato di Cutro, con 94 morti affogati. Denuncia «l’assurdità di lavoratori immigrati che vivono in Italia, pagano le tasse, mandano i figli a scuola, e non hanno alcun diritto di cittadinanza, a partire da quello del voto». E cita, come esempio, un operaio bengalese che lavora da 20 anni per Fincantieri a Monfalcone, dove ha lavorato anche il padre e dove studiano i figli. «Mi ha chiesto, stupendosi, “perché ancora non posso essere un cittadino italiano, in cosa sono diverso dagli altri operai?”». Invece non si fa altro che aumentare l’emarginazione, e i drammi della vita nei ghetti. Con l’assurdità dei fondi del Pnrr non spesi.

«Restano lì, i comuni a cui erano destinati, al Sud ma anche in alcuni del Nord, non sanno come spenderli – denuncia Giovanni Mininni – . Anzi alcuni amministrati dal centrodestra hanno addirittura rifiutato questi fondi. Intanto il commissario previsto non viene nominato. Questo puzza. Non vorremmo che ci fosse la volontà di fare qualche trucco spostandoli su altro. Se avverrà noi daremo battaglia». Ma serve ben altro. Così il sindacato lancia il progetto, “Brigate del lavoro” che da giugno interesserà i territori delle province di Latina, Foggia e Verona. Anche il Nord, dunque, perché «lo sfruttamento non è legato ad un’agricoltura povera, non appartiene solo al Sud ma a tutta l’Italia, a un sistema di produzione». Anche le ricche produzioni del radicchio e del Prosecco.

Come ci spiega Silvia Guaraldi, al progetto collaboreranno altre associazioni che si occupano di immigrati, operatori che vengono da tutta l’Italia, «creando un senso di comunità». In gruppi di 25 persone, a bordo di pullmini, così come viaggiano i braccianti, raggiungeranno i campi e i luoghi dove i lavoratori vengono “arruolati”, per ascoltare le loro richieste e provare a risolvere i problemi, garantendo i diritti, ma anche portando acqua e gilet catarifrangenti per rendersi visibili la sera e evitare di essere investiti. Vero sindacato di strada.

Pochi giorni prima di essere ucciso Jerry Masslo aveva così parlato. «Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo c’è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo». Parole ancora oggi, purtroppo, attualissime.