Attualità

Intervista. Gli studenti contestati: «C'è intolleranza in università. Ascoltiamoci»

Francesco Ognibene venerdì 29 novembre 2024

Pietro Piva, il responsabile nazionale del Coordinamento liste per il diritto allo studio (Clds)

È quiete apparente quella che regna dentro la galassia universitaria milanese nei giorni successivi all’irruzione nell’aula della facoltà di Medicina a Città Studi di qualche decina di giovani che hanno fermato tra urla, slogan e bestemmie l’incontro sull’accoglienza della vita, organizzato dalla lista Obiettivo Studenti con la vicepresidente del Movimento per la Vita Soemia Sibillo. Nessuno medita rivincite, ma nel flusso ininterrotto di dialoghi tra chi ha sperimentato l’accaduto come una ferita è palpabile l’amarezza per i fatti – documentati dal video su Avvenire.it – per i quali parla di «occasione mancata» Pietro Piva, responsabile nazionale del Coordinamento liste per il Diritto allo studio (Clds), federazione di espressioni universitarie laiche ma ispirate a Comunione e Liberazione per molti dei loro esponenti. Studente di Filosofia alla Statale di Milano, 24 anni, avviato alla laurea magistrale, Pietro ha passato due giorni interi a confrontarsi di persona e via social con tutti: amici, compagni di “uni”, ma anche chi milita sul fronte avverso. Perché i contatti non si sono mai davvero interrotti. E da questi giorni di lavorìo intellettuale ha ricavato un’idea chiara: «Dobbiamo recuperare le relazioni personali con chi non capisce le ragioni del nostro impegno, che per tanti di noi è di universitari e di credenti. Se la fede ha a che fare con tutta la realtà, allora non possiamo non metterci in gioco anche come studenti».

Ma nella chiassata di martedì sera si è sentito chiedere a gran voce “fuori Cl dall’università”...

La nostra presenza è aperta a tutti, il metodo che proponiamo è un libero confronto delle idee portate da ciascuna sigla attiva negli atenei. Esserci per noi è semplicemente l’espressione di un’educazione alla fede. Ascoltiamoci, e usciremo dai pregiudizi.

L’interruzione violenta della vostra iniziativa va nella direzione opposta. Una distanza incolmabile?

Abbiamo provato tristezza, e discusso tanto tra noi. È emerso però non il risentimento ma il bisogno di rimettere a tema quel che viene letto in modo unilaterale: perché siamo persuasi che l’università sia il luogo dove la società impara a confrontarsi su qualunque argomento. E il solo metodo che conosciamo è di creare occasioni di vero dibattito in cui poter portare la nostra idea cercando di incontrare quella degli altri, per arrivare a una consapevolezza comune. La verità richiede che si proceda insieme.

Sembra che ci sia chi non vuol sentir parlare di accoglienza della vita umana. Perché questa chiusura?

Sono temi che dividono perché se ne parla troppo poco e nel modo sbagliato: guardiamo la politica e vediamo una grande fatica a confrontarsi. E così finisce che in università si replica lo stesso modo di procedere. Sui temi etici emerge una visione della vita, della persona e della società: proprio per questo è indispensabile imparare a discuterne rispettandosi. Stupisce vedere gente che grida così forte contro le idee di qualcuno.

Sono grida per zittire, peraltro rilanciate ieri dal post sui social col quale le liste che manifestavano contro di voi hanno giustificato l’accaduto. Come si ritrova la parola?

Proponendo di fare ciascuno la sua parte di strada per tornare ad ascoltarsi. I segnali di ostilità purtroppo non cessano, ma questo non vuol dire che dobbiamo smettere di argomentare, discutere, confrontarci, cercare canali di incontro tra noi anche se le posizioni sono distanti.

Quello che è emerso è un rifiuto radicale della possibilità di aiutare una donna a tenere il bambino senza abortirlo...

Dentro questa contestazione così dura leggo anche il bisogno di individuare una presenza debole da difendere, senza però capire che la fragilità riguarda la donna in attesa e il suo bambino.

E adesso?

Non ci fermiamo: torniamo a cercare il confronto. E il rapporto tra persone.