Attualità

IL MINISTRO SU CATTOLICI E POLITICA. Ornaghi: adesso è necessario uno scatto politico

Marco Tarquinio giovedì 20 settembre 2012
Professor Ornaghi, poco più di un anno fa proprio da queste colonne lei sviluppò diverse valutazioni forti sulla fase che stava attraversando il Paese e sul contributo possibile e necessario dei cattolici. Ed espresse almeno due "desideri": l’avvento di un ceto politico stimabile e dunque degno di rappresentare in modo efficace la società e il corpo elettorale italiano e l’apertura di spazi a un maggior pluralismo politico, ma ben dentro un gioco bipolare liberato dalle scorie di quello che io chiamo il "bipolarismo furioso". Beh, almeno un nuovo "ceto di governo" s’è messo a disposizione e al lavoro. E lei, da ministro del Governo Monti, ne fa parte a pieno titolo...Se la stagione che si è dischiusa col governo Monti potrà portare tra i suoi frutti anche quello di aver contribuito allo scatto politico di cui il Paese avverte sempre più il bisogno, credo che l’aver fatto parte di questo governo compenserà in abbondanza la fatica e le non lievi responsabilità legate all’esperienza di questi mesi. Uno scatto politico è indispensabile. Lo è per far ritrovare ai cittadini il significato più autentico della politica, anche se questa operazione può al momento sembrare impossibile. Per incominciarla, bisogna muovere dalla consapevolezza che i limiti, soprattutto quelli attuali imposti dalla gravità della situazione economico-finanziaria, possono e devono essere trasformati in occasione positiva, così che, cercando con tutti gli sforzi di superarli, il Paese si unisca maggiormente e diventi migliore.La ferita più che mai aperta è la "lontananza" tra rappresentati e rappresentanti, tra cittadini e politici. E di conseguenza, come ha segnalato nelle scorse settimane con preoccupazione anche il cardinale Bagnasco, aumenta la distanza tra l’agire (o il non agire) politico e i problemi della vita concreta e il sentire della gente.Si sta forse realizzando l’antica previsione di un grande studioso del primo Novecento: la vita – quella concreta, coi grandi e piccoli problemi di ognuno di noi, di ciascuna famiglia, dei gruppi sociali – chiede di essere realmente al centro della politica, esige una risposta non retorica e tantomeno ideologica alle attese, ai bisogni autentici, ai convincimenti e ai valori più radicati dei cittadini. Da tempo sembra invece che ceto politico, partiti e istituzioni politiche si stiano smarrendo in un labirinto e, per cercare di uscirne, seguano il filo della propria conservazione, anziché quello di un’efficace rappresentanza e di un effettivo governo della società italiana, nella ricca molteplicità delle sue parti.Un deficit che dovrebbe preoccupare almeno tanto quanto quello dei conti pubblici... E intanto quella che lei definisce la «ricca molteplicità» della società italiana comincia a riflettersi in una polemica serrata e, per così dire, "polverizzante" del consenso nei confronti dei "politici" e, comunque, in una difficoltà crescente a sentirsi rappresentati dai partiti già in campo e dai movimenti che hanno preso piede (come quello "grillino") o si delineano.È significativo che risulti in crescita l’area di chi si mostra restio a conferire voto e fiducia alle attuali organizzazioni partitiche. È un’area, si badi bene, non del tutto coincidente con quella della cosiddetta "antipolitica". Tuttavia è un fatto: lo svuotamento delle tradizionali forme di rappresentanza, a cui abbiamo assistito in questi anni, inevitabilmente porta con sé il pericolo che la prossima tornata elettorale sia contrassegnata, ancor più delle precedenti, dal conflitto tra ragionevolezza e umoralità, tra una pur disincantata volontà di un ulteriore attestato di credibilità della politica e un gesto espressivo di malcontento o protesta.C’è senza dubbio un problema generale di rappresentanza, ma ce ne sono – diciamo così – di ben "localizzati", geograficamente e sul piano generazionale.Certamente. I «territori senza rappresentanza», come li ha opportunamente definiti Giuseppe De Rita, si vanno allargando sotto i nostri occhi. Per gran parte sono popolati dalle fasce giovanili. I giovani, per i quali poco o nulla significa la vecchia distinzione fra destra e sinistra, si stanno giustamente facendo esigenti. Ancor prima di pretendere di veder realizzate efficaci politiche, domandano di vivere in una comunità civile e politica autenticamente aperta, perché dotata di significato e direzione, guidata da valori riconoscibili, praticati e condivisi. Ma quanto più si allargano nuovi territori senza rappresentanza, tanto più – come si diceva poco fa – la politica sembra soltanto sfiorare ciò che più sta a cuore ai cittadini. Sarà questo il terreno su cui i partiti che conosciamo, e quelli che stanno cercando di nascere, giocheranno buona parte della loro affidabilità e delle loro possibilità di guadagnare consenso.Una legge elettorale, di per sé, non può risolvere il problema della qualità dell’offerta politica, ma può contribuire a impostarlo bene. A quali condizioni nuove regole del voto potrebbero riavvicinare elettori ed eletti e garantire la famosa "governabilità", una governabilità di legislatura?        C’è effettivamente urgenza di una nuova legge elettorale, anche se un sistema elettorale, per quanto sia valido, può favorire la governabilità di un Paese, ma non può certo assicurarla nel tempo. Voglio dire che, come ogni istituzione e ogni norma, il sistema elettorale tende per sua natura a ridurre i rischi dell’incertezza, ma non può azzerarli del tutto. Il pericolo maggiore, da evitare a ogni costo, è che la riforma elettorale a cui si sta lavorando produca nelle prossime elezioni una stabilità precaria e una insufficiente chiarificazione del quadro politico. Naturalmente, va da sé che un nuovo sistema elettorale è da misurare in rapporto a quell’operazione, che definivo apparentemente impossibile, di riscoperta delle qualità migliori (che pur ci sono, e che sono indispensabili) della politica e del ceto politico.Qualunque strada si imbocchi e comunque si esprima l’elettorato, c’è chi ritiene che il gran problema oggi sia quello di preservare la possibilità di un governo di "larga coalizione". Ma se questa è la necessità e se questo è il ragionevole e utile obiettivo, non sarebbe meglio dichiararli apertamente piuttosto che far finta di arrivarci per cause di forza maggiore?Sono totalmente d’accordo. Nella fase di enormi difficoltà, scandite dalle condizioni di sofferenza dell’Eurozona ed emblematicamente rappresentate dalle inquietanti oscillazioni dello spread, il governo Monti sta cercando di sciogliere alcuni dei nodi più pericolosamente ingarbugliatisi negli ultimi decenni delle vicende del Paese. Il prossimo governo dovrà responsabilmente raccogliere il testimone di tutto ciò che di positivo si è fatto. Se le prossime elezioni – è questo il dato più importante, ma non facilmente prevedibile oggi – saranno in grado di produrre un assetto partitico chiaro e stabile del panorama politico e dei movimenti di trasformazione dei partiti, bene. Altrimenti diventerà ancor più necessario ciò che già oggi, per molti aspetti, lo è: cioè un governo sostenuto da una maggioranza che, all’impegno di voler raddrizzare alcune delle cose che sono storte nel nostro Paese, e sempre più indigeste ai cittadini, sappia unire capacità e virtù vicine a quelle che ebbero i nostri padri costituenti.Si sostiene, infatti, e anch’io penso che sia giusto, che alla fase "ricostituente" dal punto di vista economico-sociale dovremmo essere finalmente in grado di accompagnare una fase "costituente" che sciolga i grovigli e i malesseri che si sono creati sul piano ordinamentale interno e affronti anche i problemi che si stanno imponendo nel rapporto tra gli Stati democratici membri della Ue e la Ue stessa.Il tema delle riforme istituzionali torna ciclicamente nella nostra storia. E sembra segnato da un sortilegio: si riapre quando il contrasto politico rende impossibili o risibili le riforme, viene rimosso quando le riforme sarebbero invece possibili. Per questo motivo, pur consapevole dell’impraticabilità della proposta, mi parrebbe conveniente che la questione delle riforme venisse freddamente impostata già da ora, pensando per esempio a una ristrettissima Commissione Bicamerale, la quale, integrata da esperti, proponga le ormai indispensabili modifiche non solo del testo costituzionale, ma anche di ammodernamento sia di alcuni settori dell’amministrazione pubblica, sia delle funzioni degli enti territoriali. È evidente che rischia di accrescersi ogni giorno di più il divario fra le decisioni delle "classiche" istituzioni democratiche a legittimazione popolare e le decisioni degli enti e delle istituzioni (nazionali o europee), la cui legittimazione è la competenza di tipo tecnocratico-funzionale.Un divario che, insieme con quello tra il potere degli Stati e lo stra-potere delle centrali finanziarie, propone una grande questione democratica.Il complicato tema in gioco è proprio quello del buon funzionamento della democrazia e del suo futuro. La gran parte delle democrazie dell’Occidente è oggi esposta al pericolo della stagnazione, oltre che a quello del consolidarsi di oligarchie. Proprio in una fase storica, invece, in cui la formulazione e l’attuazione di politiche pubbliche efficaci e ragionevolmente giuste richiederebbero il coinvolgimento attivo dei corpi intermedi e delle più rilevanti forme di associazionismo sociale.E il "problema Europa" è tale non solo su un piano semplicemente organizzativo...Lo è anche – forse soprattutto – sul piano culturale. La cultura europea ha smesso da tempo di alimentare quelle culture politiche su cui si fonda un consenso non fluttuante e un voto non umorale. Men che meno, è stata in grado di ravvivare una visione dell’Europa che, consapevole e orgogliosa delle proprie radici, sia proiettata verso il futuro.C’è da sperare e impegnarsi perché i cristiani, in particolare i cattolici, possano svolgere un ruolo rifondativo e propulsivo almeno degno di quello svolto dopo la seconda guerra mondiale per avviare l’integrazione comunitaria.Un ruolo di questo tipo deve essere concretamente svolto. E faccio un solo esempio. Da pressoché tutte le parti si indica la necessità di costruire un diverso modello di sviluppo, così da vincere i pesanti condizionamenti e la sempre meno tollerabile incertezza imposta dall’odierna situazione economico-finanziaria. Chi, più dei cattolici, ha riflettuto sull’economia sociale di mercato e sugli indispensabili legami fra responsabilità, sussidiarietà e solidarietà?Già: riflettuto e, per quanto possibile, attuato. Tenendo concretamente aperta la prospettiva di una "terza via" tra statalismo e mercatismo. Ma torniamo alla politica italiana. E tra un po’ anche… a Todi. Tra i molti smarrimenti, disorientamenti e spaesamenti dell’oggi quello dei cattolici pare proporsi con caratteristiche sue proprie. Secondo lei, professore, ha anche sue proprie vie d’uscita?Temo che l’odierno spaesamento dei cattolici abbia davvero alcune caratteristiche sue proprie, prodotte anche dalle differenti forme e opzioni del cattolicesimo politico dagli anni Settanta in poi. Ma da questo spaesamento è urgente uscire, con una presenza cattolica che sia confacente alla stagione storica che stiamo attraversando, e risulti coerente al ruolo che la visione cattolica del mondo tuttora ha nei modi di pensiero e nelle attese di una parte assai significativa del popolo italiano. Il cardinal Bagnasco ha recentemente detto parole precise e decise, che mi permetto di sottoscrivere in pieno. Nella sua omelia in occasione della solennità di San Lorenzo, dopo aver ricordato che la presenza dei cattolici in politica non è codificata in formule specifiche, ha ribadito quanto risulti oggi «doveroso che, nella vita pubblica, i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati».Non ci sono "formule" inevitabili di partecipazione politica, ma c’è un’inevitabile dovere di presenza e di presenza coerente e significativa. Si sente chiamato in causa anche personalmente?La politica deve liberarsi da un male diventato sempre più grave in questi decenni, quello di trasformarsi in una vicenda o competizione di posizioni personali. La responsabilità politica tocca ciascun cattolico, così come riguarda ogni associazione e movimento cattolico. I traguardi indicati dal cardinal Bagnasco devono essere raggiunti quanto prima, in risposta alle attuali necessità del Paese.