Torture in questura. Serra: «Fatti disgustosi, ma sono mele marce, la Polizia è sana»
«Leggere sui giornali gli stralci dei verbali relativi alle presunte violenze compiute da quei cinque poliziotti a Verona mi ha letteralmente disgustato. Ma, grazie a Dio, si tratta di poche mele marce, in una Polizia che resta sana e al servizio del Paese. Me lo lasci dire: non saranno quei delinquentelli di Verona a infangare l’onore di migliaia e migliaia di agenti e funzionari che ogni giorno fanno il loro dovere e arrivano a rischiare la vita per la sicurezza dei cittadini...». Sbirro in prima linea nella Milano banditesca dei Turatello e dei Vallanzasca, ma anche uomo del dialogo e della mediazione nella gestione dell’ordine pubblico, dopo una lunga carriera che lo ha visto questore, prefetto e vice capo della Polizia, da tempo Achille Serra, classe 1941, è meritatamente in pensione. Ma once in blue, always in blue, dicono i piedipiatti d’oltreoceano: uniforme e distintivo è difficile chiuderli in un armadio, perché chi li ha amati e ha servito con onore li porta cuciti sulla pelle. E così il «poliziotto senza pistola» Serra - soprannome che gli è rimasto appiccicato addosso e che la dice lunga sulla sua umanità - spiega oggi ad Avvenire di provare «profonda amarezza» per i fatti gravissimi ricostruiti dalla magistratura nella città scaligera.
Prefetto, dalle indagini emerge un campionario degli orrori: insulti, violenze e umiliazioni a persone fermate per normali controlli. Come è stato possibile, fra le mura di un ufficio di Polizia?
Premesso che, ovviamente, il processo penale dovrà fare il suo corso, debbo dire che - stando alle prime notizie - da ciò che hanno accertato finora le indagini, mi sembra che, seppur vestiti da poliziotti, quei cinque si siano comportati come delinquenti matricolati, senza alcun senso dell’onore e del servizio alla cittadinanza e al Paese che deve svolgere, che ha giurato di svolgere chi entra in Polizia. Ciò detto, non è certo la prima volta che accade che qualche poliziotto lasci la retta via per imboccare quella storta...
In tanti anni in Polizia, lei ne ha incontrate personalmente di «mele marce»?
In alcune occasioni, purtroppo sì. E parlo di autori di reati anche più gravi, fino all’omicidio. Ricordo quando, da vice capo vicario della Ps, l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni mi inviò a Bologna per indagare sui delitti efferati degli uomini della Uno Bianca: anche lì c’erano in mezzo dei poliziotti, ma nulla a che vedere col “corpo sano” della Questura di Bologna. E ancor prima, mi era accaduto - durante le indagini che portarono all’arresto del tebano Angelo Epaminonda - di imbattermi nella sconcertante vicenda di un poliziotto che faceva il killer per suo conto. Ma erano dei pazzi, criminali isolati, mele marce appunto...
Invece gli arrestati di Verona forse tanto «isolati» non erano, visto che ci sarebbero altri 17 indagati e che 23 agenti sono stati trasferiti dal questore ad altri incarichi per non aver denunciato. Cosa ne pensa?
Il fatto che tanta gente abbia saputo e abbia coperto è un aspetto brutto, perché rivelatore di una pseudo-solidarietà di corpo malata, sbagliata, da condannare. Mi consola però il fatto che siano stati poi altri poliziotti, quelli della Squadra mobile, a scoprire le malefatte dei colleghi. L’organismo è sano, se sa produrre anticorpi per respingere la malattia.
Il questore Masucci vuole installare telecamere nelle stanze dei fermati, i sindacati di Polizia chiedono le body-cam su ogni agente. La tecnologia può essere d’aiuto?
Io sono un uomo di un’altra epoca e mi verrebbe da dire che un controllo così significa mancanza di fiducia in chi opera, un po’ lo umilia. Però capisco che possa servire, in certe situazioni, a garantire trasparenza. Per come la vedo io, comunque, la garanzia più importante per i cittadini resta un’altra...
Quale?
Che le forze dell’ordine sono composte da uomini e donne veri, coraggiosi, onesti, leali. Non come questi soggetti, per i quali io mi auguro - al termine di un iter processuale con tutte le garanzie, chiaramente - sentenze giuste e pene esemplari. Il reato di tortura c’è, nel Codice penale. E chi fa certe cose, deve pagare. E bene hanno fatto intanto il ministro dell’Interno e il capo della Polizia ad allontanare a calci nel sedere chi, col suo agire, rischiava di incrinare la fiducia dei cittadini.