Intervista. Padoan: l'evasione fa ingiusta l'Italia
«Servono misure capaci di rompere le barriere e di aumentare l’inclusione sociale. L’Italia è ancora un Paese senza equità, dove la diseguaglianza, che è frutto anche dell’evasione fiscale, è andata aumentando a causa della crisi». Pier Carlo Padoan si ferma su due parole e le ripete quasi meccanicamente: inclusione ed equità. Poi, da lì, apre una riflessione su un’Italia in cui le differenze tra «i garantiti e i non garantiti» si sono fatte drammaticamente sempre più nette. «Insider e outsider», dice il ministro dell’Economia prendendo in prestito l’immagine dal vocabolario anglosassone. Differenze tra chi è dentro e chi è fuori. Immediatamente il pensiero va al grande dibattito sul mercato del lavoro. Allo scontro sull’articolo 18 che scuote il Pd. Padoan riflette qualche istante, poi affonda un altro colpo destinato a fare titolo: «Mi viene in mente una sola parola per definire quel dibattito: paradossale». Perché – spiega il ministro – se si guardano i numeri ci si accorge che «i lavoratori "impattati" dall’articolo 18 sono pochissime migliaia». Ancora una pausa. «È vero, sono numeri importanti perché parliamo di persone, ma irrilevanti se messi di fronte all’interesse collettivo che è più occupazione e più equità». Siamo a via XX Settembre, nella sede del ministero dell’Economia. Padoan è rientrato lunedì dal G20 australiano («60 ore di voli per sole 48 ore di incontri», ci dice abbozzando un sorriso leggero) e ora, tornando a immergersi nelle questioni di casa nostra, lega inevitabilmente due termini: crescita e riforme. Lo fa con parole nette e con messaggi inequivocabili. Diretti a quella che Renzi chiama la «vecchia guardia», politica e anche sindacale. «C’è un accanimento ideologico che l’Italia non si può più permettere. Il Paese si può, anzi si deve, permettere solo misure concrete perché abbiamo un bisogno profondo, disperato di voltare pagina, di riformarci». È un’intervista a tutto campo. Per settanta minuti si parla di bonus («Confermo: lo rendiamo permanente»), di Legge di stabilità, di mercati e di evasione («È questa la vera diseguaglianza da combattere»). Si riflette sull’Italia anche con un occhio "introspettivo": «Noi italiani ci vogliamo un sacco di bene individualmente e nella nostra cerchia più ristretta, meno collettivamente». Domande e risposte si accavallano, poi il ministro torna, quasi inevitabilmente, al grande tema. «La riforma del mercato del lavoro ha uno scopo alto: rompere le barriere, facilitare l’ingresso degli esclusi. Penso alle donne e soprattutto ai giovani». L’intervista prende una piega nuova e l’azione del ministro si lega alle preoccupazioni del padre. «Oggi arrivi a trent’anni e non hai ancora certezze. È stato così anche per le mie due figlie. Sono appena entrate nel mercato del lavoro e hanno più di trent’anni. L’hanno fatto con fatica, con molta fatica. E per meriti loro...». Vorrebbe fermarsi, ma prima "regala" un’ultima riflessione privata. «In quei mesi ho scoperto la dimensione terrificante di cosa voglia dire non avere prospettive. Ovviamente le famiglie fanno sempre quello che possono e anche di più, ma una società normale non può vivere solo su questo».Ministro, cosa ha riportato dal G20? In Australia è stato lanciato un allarme sulla crescita che già perde slancio, come ha sottolineato Mario Draghi, presidente della Bce.Il clima generale al G20 è stato improntato ai maggiori sforzi necessari per la crescita e il lavoro. Si è discusso delle strategie. Sono diverse perché i Paesi sono diversi. Ma c’è un’idea di fondo comune: usare in modo ordinato e il più possibile coordinato tutti gli strumenti a disposizione: le politiche monetarie, quelle fiscali e le riforme strutturali. Quindi la riforma del lavoro da sola non basta?Questo intervento è parte essenziale della strategia per tornare alla crescita e all’occupazione, ma va integrata con strumenti fiscali come il taglio del cuneo. Per questo, dopo il bonus degli 80 euro e il primo taglio dell’Irap, in vista della Legge di stabilità in ottobre stiamo verificando le condizioni per un ulteriore taglio delle tasse a favore delle imprese, nel rispetto dei vincoli di bilancio. Bisogna farlo per abbattere la disoccupazione, che ha diverse cause: la debolezza del ciclo economico, ma anche cause strutturali che nel tempo aggravano la separazione tra chi sta dentro e chi sta fuori. È un problema che c’è in tutti i Paesi del G20, ma che è più acuto in Europa e in Italia.Ma si sente di assicurare agli italiani che, dopo la riforma del lavoro, staranno meglio?Il nuovo mercato post-riforma offrirà più prospettive di lavoro, più prospettive di investimento e di crescita e soprattutto retribuzioni più elevate. È una soluzione win-win, come dicono in Inghilterra.Addirittura retribuzioni più elevate?Sì. Abbiamo davanti un’opportunità che va sfruttata subito: in un mercato del lavoro in cui è più semplice entrare per i lavoratori e assumere per le imprese e i contratti sono fissati in gran parte a livello aziendale, ci saranno lavoratori che saranno remunerati per la loro produttività più che in base a un contratto nazionale uguale per tutti. È anche per questo che trovo paradossale un dibattito concentrato sull’articolo 18.
Forse il dibattito si concentra su questo anche perché non si hanno certezze sugli altri punti. Tipo la nuova indennità di disoccupazione: sarà finanziata per intero?Il governo è ben cosciente che c’è questa esigenza di finanziare misure importanti, all’interno della riforma del lavoro. Sappiamo benissimo che bisogna farlo e le risorse ci saranno, pur - ribadisco - con l’enorme fatica imposta dai vincoli di bilancio. Ma saranno risorse per difendere il lavoratore più che il posto.Sul tema è intervenuto anche il presidente Napolitano, criticando «i conservatorismi». Lei cosa dice a chi frena?L’economia si muove di continuo, anche se ora a velocità lenta. L’enorme sforzo che stiamo facendo è quello di farla muovere a una velocità più elevata e nella direzione giusta, per evitare che invece si avviti su se stessa. Siamo a un punto di svolta, ci stiamo giocando la direzione da prendere e per fare questo bisogna cambiare il motore in corsa.Insomma, avremo un’altra Italia?Io ci credo fortemente. Abbiamo un’enorme potenzialità. Ci sono settori che malgrado questa recessione lunghissima hanno continuato a essere dinamici, competitivi , all’avanguardia nel mondo globale. Il problema è che con la crisi questi settori si sono ridotti. La sfida è liberare le potenzialità che sono nella società. Il resto del mondo, specie quello emergente al di fuori dell’Europa, continua a crescere. Noi stiamo lavorando invece a un’intensità molto più bassa del nostro potenziale. Dobbiamo saper trovare gli stimoli al nostro interno.Qual è lo sbaglio che l’Italia non si può permettere?Interrompere il processo di riforma. E il rischio c’è. Ci sono resistenze forti e ci sono al tempo stesso dei margini molto stretti alla capacità d’azione del governo. Non perché ce lo dice l’Europa, ma perché i mercati ci stanno con gli occhi addosso. Ho registrato in questi mesi una fase di entusiasmo crescente, a tratti esagerato, verso l’Italia. Ho il timore che questo entusiasmo rapidamente si possa dissolvere. Abbiamo una finestra di opportunità che non durerà all’infinito, perderla sarebbe drammatico.A chi pensa quando parla di "resistenze forti"?Tutti quelli che sentono di stare leggermente meglio resistono a un cambiamento. È un errore: se l’economia si sblocca, stiamo meglio tutti. Ma la politica deve dare un messaggio generale, non può allinearsi a chi difende rendite di posizione e privilegi. C’è una espressione anglosassone efficace, anche se a me non piace: insider e outsider. Uno dei nostri problemi maggiori è che chiunque ha una piccola posizione di rendita la difende, mentre chi non ce l’ha è dipendente dagli altri. E il fossato tra questi due gruppi è andato crescendo.Si addebita qualche errore in questi primi 7 mesi?Ancora non mi sono pentito di gravi errori. Ma avrò sempre tempo di farlo quando non sarò più ministro. Abbiamo mille giorni di tempo?I mille giorni sono il periodo nel quale si cominciano a vedere i risultati. Non sono mille giorni di promesse, sono mille giorni di lavoro. Le promesse sono state già fatte, ora si tratta di mantenerle e applicarle. Un cammino ancor più difficile se si vuole percorrerlo mantenendo il consenso.Squinzi dice "meglio se saranno 700".Se le imprese credono - e dovrebbero farlo - che queste riforme cambieranno il sistema, possono accorciare loro i tempi. Serve più fiducia: se io redo al futuro, mi comporto come se fossi già nel futuro. Ci credano e ne approfittino subito, anticipino gli investimenti. Alle imprese dico: credete nell’Italia, le aspettative si autorealizzano. Fatemi dire una cosa: in Italia a volte ce la mettiamo tutta per smentire noi stessi. L’elemento che frustra più di ogni altro gli entusiasmi è pensare che le cose possono cambiare e poi vedere che chi ti sta accanto "fa il furbo", provando ad aggirare le nuove regole.Il premier Renzi ha appena chiesto un cambiamento anche «violento». Condivide?Per vincere queste resistenze, la strategia dura di Renzi è quella giusta. Abbiamo grande sintonia sulle idee di fondo. Ci possono essere punti di diversità su misure specifiche, ma la spinta innovatrice del governo, e del presidente del Consiglio in primo luogo, è quello che fa la differenza.Esiste un piano per la riduzione del debito pubblico?Questo piano ha un solo nome, molto chiaro: crescita. I paesi in cui il debito è sceso sono quelli in cui c’è stata più crescita. Naturalmente in questo non abbiamo l’unica responsabilità noi; ci vuole anche un po’ più d’inflazione nella zona euro, che è troppo bassa e rischia di diventare ancora più bassa. Sarebbe un disastro. La Bce sta cercando, in condizioni molto diverse da quelle in cui è nata, di riportare l’inflazione attorno al 2%.Ok, ma intanto gli investitori stranieri si tengono lontani dall’Italia.Non è proprio così, ci sono stati casi anche rilevanti di acquisizioni d’imprese italiane. Anche qui viviamo un altro paradosso: mi ricordo i tempi in cui ci si lamentava "qui non viene nessuno a investire", ora ci lamentiamo che "ci portano via pezzi di economia". Indubbiamente si può fare molto di più. Ad esempio sulla valutazione di assets del patrimonio immobiliare, che sappiamo essere d’interesse di investitori stranieri. C’è un’enorme richiesta. Ma ci si chiede di rendere questa chance più concreta rendendo più semplice l’aspetto amministrativo, per esempio sui permessi di cambiamento di destinazione. Ci sono gruppi interessati a comprare interi blocchi d’un quartiere per valorizzarlo, ma che sono terrorizzati dalle incombenze burocratiche. Sono situazioni che fanno pensare agli investitori stranieri: "l’Italia è un posto magnifico per investire, ma così difficile - pensano - che non lo faccio". Stesso discorso per la lunghezza dei processi, dove si ha timore di contenziosi che durano anche 20 anni. Perché sono così lunghi? Perché c’è l’incentivo da parte di tutti quelli coinvolti - giudici e avvocati - a tenerli in piedi, non c’è un incentivo a ridurli. Sono questi tempi infiniti che generano una frustrazione terrificante.Veniamo al bonus da 80 euro. Sarà esteso? E terrà conto delle famiglie?Innanzitutto bisogna aspettare e vedere i risultati. Lo renderemo permanente - impegno che viene sottavalutato, perché lo sforzo per il bilancio pubblico non è irrilevante - mentre la sua estensione è difficile. Si tratta di una misura che deve conciliare due esigenze: essere la più semplice e la meno iniqua possibile. Ci sono sicuramente situazioni al margine che producono effetti paradossali, ad esempio se una famiglia con figli viene esclusa perché l’unico reddito supera il limite di pochi euro, ma questo avviene purtroppo ogni volta che si fissa una soglia. È un paradosso difficile da correggere. Va anche tenuto conto che la necessità di trovare soluzione a casi come questo si scontra con l’esigenza di rendere più semplice e trasparente l’intero sistema fiscale. È un problema che ci stiamo ponendo nella delega fiscale. Però - tanto per spirito di bonaria polemica - ci sono altre e più gravi fonti di diseguaglianza, a partire dall’evasione che è una diseguaglianza etica ancor prima che economica. La mia priorità è di rendere più efficace la lotta all’evasione.Però l’attesa scossa non c’è stata.Non abbiamo mai pensato a una scossa. Viviamo una situazione di profondo disagio in cui molte famiglie con redditi medio-bassi hanno avuto in questi anni problemi di bilancio, anche in termini di bollette non pagate o di erosione di risparmi. Quindi come prima cosa, anche a causa del clima dovuto alla recessione, si pensa a ricostituire il bilancio delle famiglie. E questo sarebbe avvenuto anche in altri Paesi europei. Comunque, anche se stiamo parlando di decimali, mentre gli investimenti sono scesi, i consumi stanno - seppur di poco - aumentando. Significa che qualche variazione c’è stata.A proposito: per ora della delega s’è visto solo il decreto sulla dichiarazione dei redditi precompilata dal 2015. A quando il resto?L’esercizio della delega finisce nei primi mesi del 2015, stiamo lavorando ad altri temi importanti come il cosiddetto "abuso di diritto". Ci sono già documenti pronti, che devono passare al vaglio finale del governo. La revisione delle agevolazioni? La delega si occupa di fissare un "ambiente" in cui tutto viene più semplificato, non entra nel merito di aliquote e detrazioni. Tuttavia, alcune novità permetteranno soprattutto modifiche a favore delle piccole imprese.Cosa ne pensa della proposta di un’aliquota unica sull’Irpef rilanciata dalla Lega?L’idea della flat tax ha un suo fascino. Ma diventa più efficace, produce uno choc positivo, soprattutto quando è legata a un sistema che cambia nel suo complesso, com’è avvenuto in molti stati dell’Europa dell’Est che hanno vissuto una transizione radicale da un’economia pianificata e di comando a una di mercato.Il 16 ottobre molti italiani saranno chiamati a pagare la Tasi. Appena 1/3 dei Comuni ha ripristinato le detrazioni. Non rischiamo che un’imposta federale si trasformi in una beffa pressoché nazionale per i contribuenti?Anche qui c’è un problema di fiducia: se crediamo che ci debba essere un elemento federale nella tassazione, sta ai Comuni fare l’uso che ritengono più adeguato degli strumenti che hanno. Se non li usano, non posso obbligare a farlo. Posso aggiungere però che il governo ha l’obiettivo di superare il Patto di stabilità interno, che si è rivelato un meccanismo che non funziona, anzi impedisce a chi ha le risorse di usarle. Ci sarà bisogno di risorse per consentire la transizione, ma lo faremo.La Legge di stabilità è alle porte. Che legge sarà?Sarà un passaggio difficile, un esercizio che riguarda anche i Comuni e le Regioni. Ma ci saranno misure molto importanti perché, mettendo insieme riforme strutturali, redistribuzione fiscale e sostegni agli investimenti (anche di natura amministrativa), faremo leva su tutti gli strumenti disponibili.Conferma l’intervento sulle società municipalizzate?Il tema sarà affrontato, non so ancora se in un decreto collegato alla Stabilità o nella legge stessa. Bisogna valutare con attenzione, anche perché è una galassia molto diversificata al suo interno.E conferma anche i 20 miliardi di risparmi ottenuti dalla spending review dei quali ha parlato Renzi?Non posso fare cifre, ma solo dire che saranno sufficienti e realistiche. E, comunque, Renzi ha parlato di 20 miliardi di risorse mobilitate, non di soli tagli.