«Serviva coesione e invece c’è solo confusione. Così non si può favorire quella corresponsabilità tra governo, forze politiche e sociali, che era necessaria». Andrea Olivero, presidente delle Acli, è assai critico sul metodo con il quale l’esecutivo sta progettando la manovra finanziaria. E, alla vigilia di una riflessione di quattro giorni a Castel Gandolfo su «Il lavoro scomposto», lancia la proposta dell’associazione di un «contratto prevalente a tempo indeterminato» e la «parificazione delle aliquote contributive al 33% per tutti i lavoratori».
Come giudicate la manovra in generale e le ultime decisioni, con la scelta di accantonare la norma sul riscatto degli anni di studio e militare?Quale manovra? La bis, la ter o la quater che forse arriva? Al di là delle battute, avevamo condiviso due scelte operate dal governo. La prima di innalzare l’imposizione sulle rendite finanziarie, la seconda il contributo di solidarietà per tutti i contribuenti sopra una certa soglia di reddito. Capisco che non è gradevole per nessuno pagare maggiori imposte e che si "colpivano" i soliti noti, ma almeno si rispettava il principio che chi ha maggiori redditi deve contribuire di più. Aver tolto questa misura – oltre a generare il pasticcio che sappiamo sui riscatti poi eliminato – lascia un grande interrogativo: chi pagherà ora il conto? Il timore è che tutto ricada ancora sui ceti medi e soprattutto bassi. E poi non si può solo tagliare, servivano incentivi alle assunzioni che non ci sono, segnali a favore del lavoro e della famiglia che non vedo.
Nel testo di Ferragosto, però, c’erano delle misure specifiche sul lavoro: dalla lotta al caporalato all’articolo 8 sulla valorizzazione della contrattazione aziendale. Come giudicate queste voci?Benissimo la lotta al caporalato e il recepimento degli accordi di giugno tra le parti sociali sulla contrattazione aziendale. Qui però bisogna precisare bene i confini. Anzitutto per chiarire che questi accordi in deroga possono essere firmati solo da rappresentanze delle organizzazioni sindacali nazionali più grandi. E poi sinceramente non vedo proprio la necessità di agire sui licenziamenti e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non c’è bisogno di tensione, dopo aver recuperato finalmente un po’ di unità fra i sindacati, ma di saggezza.
Il governo ha agito anche sugli orari dei negozi liberalizzandoli al massimo. Servirà allo sviluppo?Ne dubito. Piuttosto mi preoccupano gli effetti sulla vita dei lavoratori. La flessibilità l’abbiamo sempre garantita, le necessità per casi specifici pure, ma non si può far diventare il lavoro domenicale, nelle feste e a qualsiasi orario, la norma, un modello. Vedo troppi rischi per la famiglia e la stessa coesione sociale.
Nel vostro incontro nazionale – al quale parteciperanno, tra gli altri, i ministri Sacconi e Tremonti, il cardinale Tarcisio Bertone segretario di Stato Vaticano, il presidente dell’Istat Giovannini e altri esperti – metterete a fuoco in particolare il tema del lavoro scomposto. Quali proposte intendete avanzare?Da tempo stiamo interrogandoci sulla priorità di dare un buon lavoro ai giovani. Di come combattere la precarietà senza rinunciare alla flessibilità, di come costruire un nuovo Statuto dei lavori. A Castel Gandolfo presenteremo le nostre proposte, a cominciare da quella di un contratto "prevalente" a tempo indeterminato, che sia flessibile ma non precario. Che preveda la possibilità per i datori di rescindere il contratto nei primi tre anni di rapporto, ma senza più ricorrere a collaborazioni più o meno finte, partite Iva, contratti a termine rinnovati di 3 mesi in 3 mesi. C’è bisogno di flessibilità, ma non si può scaricarla tutta sui giovani. E le aziende vanno incentivate a fare assunzioni "lunghe", a puntare su formazione e "fidelizzazione" dei propri dipendenti, non a sfruttare le convenienze di un turn-over continuo di giovani stagisti... Per questo proponiamo anche di parificare tutte le aliquote contributive al 33% come i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, così si eliminano le convenienze economiche, ovviamente prevedendo che a pagare la quota maggiore non siano i lavoratori.
Il nuovo apprendistato non può essere quel "contratto prevalente" flessibile che proponete?Abbiamo apprezzato la riforma approvata dal governo e attendiamo i decreti applicativi. Il nuovo apprendistato è certamente uno strumento valido, ma pensiamo che non possa coprire tutte le necessità, in particolare per i meno giovani e per chi ha già acquisito competenze, e perciò puntiamo sul contratto prevalente.
Al di là delle misure un po’ estemporanee, il problema di un riassetto della previdenza prima o poi si porrà...Non abbiamo preclusioni, anzi siamo convinti che occorrerà un graduale innalzamento dell’età pensionabile. Ma la gran parte dei risparmi che si otterranno devono andare a riequilibrare gli assegni dei più giovani che non arriveranno al 50% dell’ultimo stipendio.
Sul futuro pesa anche l’incognita della riforma dell’assistenza, siete preoccupati per i possibili tagli?Molto. Anche in questo caso la riforma è necessaria, occorre passare dal vecchio welfare fordista a uno nuovo, sussidiario. E dunque si possono eliminare le sovrapposizioni, razionalizzare la spesa, punire i furbi se ci sono. Ma non si può pensare di risparmiare su questa voce 20 miliardi, perché altrimenti si smantella tutto. Si può usare il bisturi, forse anche un po’ la forbice, ma non l’accetta per fare cassa. Qui si va a incidere nella carne viva dei cittadini, la sofferenza sarebbe troppa, non possiamo sbagliare.
L’agenda degli impegni è fitta. Qual è il ruolo dei cattolici?Anzitutto quello di essere portatori di speranza, tanto più in una situazione di crisi come l’attuale. Ha detto bene il cardinale Bagnasco occorre una nuova moralità dei singoli che si radichi poi nelle istituzioni. Servono persone che si dedichino davvero alla cosa pubblica con spirito di servizio al bene comune e non per interesse personale. Una nuova generazione che si impegni in politica, non solo preparata ma appassionata, pronta a scommettere anche una parte della propria vita su questo cambiamento. Non mi appassiona l’idea di un nuovo partito cattolico, piuttosto sarebbe necessario costruire nuovi soggetti politici nei quali i cattolici possano esprimere un maggiore protagonismo. Oggi infatti questo ruolo è assai penalizzato sia a destra sia a sinistra.