Il primo messaggio di Federica Mogherini è alla Francia, alla Spagna, a chi esita sul versante dell’accoglienza e a chi immagina retromarce sulle quote. «Un mese fa una tragedia assurda e terribile scuoteva il mondo. 800 morti, forse di più. E un terribile senso di frustrazione e di dolore si legava a un altrettanto terribile senso di vergogna europea». Una pausa leggera precede l’affondo dell’alto rappresentante per la politica Estera della Ue. «È il momento di tradurre in risposte il nostro minuto di silenzio di fronte a quei morti. Sì, in risposte. In scelte concrete. L’Europa non è un palazzo a Bruxelles, non è un’entità astratta; l’Europa siamo noi, tutti noi. Con le nostre difficoltà interne, con le nostre contraddizioni, con le nostre campagne elettorali, con le nostre opinioni pubbliche. Ma siamo tutti noi insieme e, insieme, vanno prese le decisioni e con queste decisioni vanno fatti i conti. Bisogna assumersi quelle responsabilità che a volte possono essere complicate. Ma dopo quel minuti di silenzio, nessuno può più girare la testa dall’altra parte e e pensare che l’Europa sia altrove». Per cinquanta minuti Mogherini ragiona su un’Europa che prova a cambiare passo e preferisce soffermarsi sull’ok a una sola voce alla missione navale contro gli scafisti piuttosto che enfatizzare le timidezze sull’accoglienza. Anche perché «oggi non tutto è risolto, ma siamo a arrivati a un punto che solo trenta giorni fa era impensabile. Abbiamo portato a livello europeo il tema immigrazione. Lo abbiamo reso internazionale. C’è un dibattito a Bruxelles e alle Nazioni Unite. Insomma oggi l’Europa c’è».
Insisto: Francia e Spagna sulle quote frenano. Esiste un rischio che salti tutto?C’è una proposta concreta sulla condivisione della responsabilità: è un’assoluta novità, è un passaggio che non c’era mai stato. Ora dobbiamo lavorare sul testo. Siamo pronti a limarlo. A rivederlo. Anche a immaginare una certa flessibilità sui numeri. Ma l’obiettivo non può essere in discussione anche perché il via libera non ha bisogno dell’unanimità. Per andare avanti basterà la maggioranza dei 28.
Come si procederà?C’è bisogno di costruire consenso politico su un tema delicatissimo per le dinamiche politiche interne: su accoglienza-immigrazione molti costruiscono la campagna elettorale. Ma vedo che ora non si nega la condivisione della responsabilità dell’accoglienza. Non si mette in discussione il principio. Si discute su come il principio dovrà tradursi in numeri.
Crede in un risultato positivo?È passato il concetto che dobbiamo farci carico di questa responsabilità in modo europeo: questo è già un risultato positivo. L’obiettivo è netto, la proposta messa sul tavolo dalla commissione anche. Mi auguro che riesca a tradursi in atti concreti. Oggi c’è chi enfatizza le divisioni sull’accoglienza, ma io voglio concentrarmi sull’unanimità raggiunta sull’operazione in mare contro i trafficanti. Ho visto un’unità che non era scontata. Che abbiamo costruito in queste settimane. Ora dobbiamo fare altrettanto sull’accoglienza: è una cosa non facile, ma alla portata di questa Europa. Ma mi faccia fare un’altra considerazione...
Che considerazione?Ha stupito tutti la rapidità con cui siamo riusciti a costruire il consenso e a prendere le decisioni a 28. Mi dicevano ci vorrà un anno, ci siamo riusciti in un mese: l’Europa se vuole sa essere veloce e sa essere unita. E poi mi ha stupito il grado di coordinamento che abbiamo costruito con gli europei che siedono nel consiglio di sicurezza delle nazioni Unite e con l’Italia. Anche questo è un fatto non marginale.
La missione navale ha avuto un via libera corale. Che operazione è?È un’operazione navale contro i trafficanti di esseri umani. È un’operazione da costruire e realizzare insieme alla Libia. Voglio che questo concetto sia chiaro, anzi chiarissimo: vogliamo lavorare insieme alla Libia, non contro. Perché è interesse anche della Libia stroncare questo ignobile traffico. Ne vale la stabilità di un’area e di più Stati.
C’è chi scrive che dal consiglio Ue di lunedì è arrivato un via libera a una prima fase dell’operazione...Sbagliato. È decisione presa all’unanimità su tutte le fasi dell’operazione. E non c’è bisogno di ulteriori passaggi in Consiglio se non per renderla operativa. Spero che il 22 di giugno, alla prossima riunione dei ministri degli Esteri europei, i dettagli pratici su cui già si sta lavorando possano essere chiari e, così, possa esserci il via libera per partire immediatamente.
Che vuol dire dettagli pratici?Ora il nodo è la capacità degli stati membri di costruire concretamente l’operazione, di mettere insieme le forze. Di stabilire quanti uomini e quante navi potranno andare in acqua entro giugno.
Si potrà agire in acque territoriali libiche?L’Unione europea agisce nel pieno rispetto della legalità internazionale. E dunque nel pieno rispetto alla convenzione di Ginevra, nel pieno rispetto dei diritti internazionali. Salviamo vite ma ci prendiamo anche cura delle vite che salviamo. E il rispetto dei diritti umani sarà garantito in modo assoluto. Chiarito questo vogliamo un accordo con le autorità libiche e una risoluzione Onu che ci permetta di lavorare anche in acque territoriali libiche.
Servono due sì: quello delle Nazioni Unite e quello della Libia.L’obiettivo è questo. E stiamo lavorando in stretto collegamento da tre capitali. A Bruxelles sul versante europeo, a New York sul versante Nazioni Unite e a Tunisi, perché lì sono le rappresentanze europee che lavorano sulla Libia.
Ottimista?Se ragionassi sulle categorie dell’ottimismo dovrei smettere di lavorare: se un mese fa mi fossi fermata all’ottimismo non avrei nemmeno cominciato. Ora vanno solo costruite le condizioni per un accordo.
Torniamo alla Libia: crede che sarà capace di mostrare responsabilità?È il momento perché quello che sta succedendo riguarda l’Europa, ma anche la Libia. Deve pensare alla crisi e al conflitto interno che la scuote. Ma anche a quel traffico di esseri umani che passa sulla sua terra e che si lega a criminalità e a terrorismo.
Ci sono inchieste raccontano un collegamento tra l’Is e le reti di trafficanti.La Libia è uno snodo esplosivo. Di traffico di persone, di traffico di armi, di organizzazioni terroristiche. Non è complicato immaginare canali di collegamento. E nemmeno pensare che i trafficanti contribuiscano al finanziamento delle milizie per ottenere passaggio in sicurezza sui territori. C’è un tema umanitario che si lega a un tema di sicurezza. Sicurezza europea e non solo europea. I paesi africani che siedono in consiglio di sicurezza sono stati i primi a dire questo è un tema che riguarda stabilità e sicurezza. Ed è un dovere e un interesse dell’Europa e della comunità internazionale non abbassare mai la guardia.
Si sta lavorando solo con la Libia?L’Europa si muove su più fronti e ha già deciso di rafforzare il lavoro preventivo in Niger. Di muoversi prima che migliaia di disperati arrivino in Libia. Ecco la novità: rafforzeremo in modo consistente il controllo delle frontiere e creeremo un hub in Niger per bloccare alla fonte l’attività della reti dei trafficanti. E per dare accoglienza alle persone bisognose di protezione insieme con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Perché non basta la missione navale e nemmeno il controllo delle frontiere dei Paesi africani.
La sfida è lavorare sullo sviluppo economico?Esatto, ma serve tempo, servono anni. E purtroppo si tende sempre a mettere da parte quelle cose che non danno risultati nell’immediato. Le non scelte degli ultimi anni hanno creato situazioni complicate che stiamo pagando duramente, ora bisogna cambiare. Servono azioni urgenti, ma anche una strategia di lungo periodo. Serve la missione navale della Ue ma anche un lavoro di cooperazione allo sviluppo con i paesi africani e con i paesi arabi: Ban ki Moon sarà a Bruxelles la prossima settimana al nostro consiglio dei ministri per la cooperazione allo sviluppo e sarà un appuntamento concreto.
La missione navale sarà guidata dall’Italia...C’è un riconoscimento del ruolo italiano nell’aver posto il tema a livello Europa. C’è un riconoscimento della competenza italiana della conoscenza del fenomeno e anche un riconoscimento di come l’Italia ha affrontato la questione. Un modo europeo. L’Italia ha dimostrato di essere fino in fondo europea e questo ci rende più autorevoli quando chiediamo una risposta dell’Europa.
Ora concretamente che succede?Parte la pianificazione che definirà i dettagli operativi. C’è bisogno di mettere insieme mezzi e la parte economica va quantificata nel dettaglio. Ma l’operazione c’è.
Come fermare i barconi?È una delle cose che va pianificata, ma l’obiettivo è definito con assoluta chiarezza. È scritto così nel testo approvato lunedì: disporre delle imbarcazioni e renderle inutilizzabili. Come verrà fatto nel dettaglio resta da definire, ma è solo un elemento operativo. La sfida è chiara e finalmente l’Europa sta rispondendo.