«Gli sforzi del governo Monti per disegnare nuove norme anticorruzione sono lodevoli e necessari. E la riforma del finanziamento ai partiti è importante. Spero che l’esecutivo italiano riesca a combatta con rigore la corruzione e a lavorare in favore di una trasparenza nella gestione del denaro pubblico. La corruzione è un cancro per le democrazie, accresce la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni e fa sperperare decine di milioni di euro l’anno. Non affligge comunque solo l’Italia. Entro il 2012, redigerò un rapporto con suggerimenti concreti per gli Stati membri sulla questione». Nella quiete ovattata degli uffici della Commissione europea, coi doppi vetri delle finestre a fare da schermo sonoro contro i borbottii del traffico romano, l’inglese asciutto del Commissario agli Affari Interni, Cecilia Malmström, svedese di Stoccolma, risuona senza incertezze. È atterrata nella Capitale per una serie di
rendez-vous coi ministri di Interno e Cooperazione, Anna Maria Cancellieri e Andrea Riccardi, e col capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sulle prospettive dell’agenda europea in materia di sicurezza, flussi migratori e lotta alla corruzione. Prospettive che, in questo colloquio esclusivo con
Avvenire, ha accettato di delineare.
Pochi giorni fa i ministri dell’Interno francese e tedesco, Gueant e Friedrich, hanno indirizzato una lettera alla Ue per chiedere la possibilità di sospensione, fino a un mese, delle norme di Schengen sul libero transito di persone e merci. Lei cosa ne pensa?Ho letto la lettera. Trovo singolare la scelta d’inviarla durante la campagna elettorale per le presidenziali francesi. Ad ogni modo, non va nello spirito del trattato di Schengen. Ne abbiamo discusso in Commissione: la chiusura delle frontiere deve essere una
extrema ratio e per tempi brevi. Inoltre, pensiamo che si debba implementare il sistema di spazio comune europeo e non frammentarlo su decisione dei singoli governi. Una riforma di Schengen ci sarà, i negoziati proseguono. La direzione per noi prevede
more Europe, not less Europe. La presidenza danese sta facendo un buon lavoro, ma ci vorrà tempo. È difficile mettere d’accordo tutti gli Stati membri.
Ma la proposta di interrompere Schengen per periodi lunghi è sul tappeto o no?Non è ciò che abbiamo proposto. Non è sano che i singoli Stati possano decidere da soli. Un confine fra due Paesi Ue è comunque un confine europeo. Interrompere Schengen non serve come scudo contro i flussi migratori irregolari, ci sono altri strumenti a disposizione.
Un anno fa lei ebbe una dura dialettica con l’allora ministro dell’Interno italiano, Maroni, dopo i respingimenti, poi condannati dalla Corte di Strasburgo. Tuttavia, il problema degli arrivi dal Nord Africa è rimasto e ricade sui Paesi frontalieri. Cosa farà l’Ue per affrontarlo?Riconosciamo che l’Italia sia sotto pressione per gli arrivi di migranti, non solo a Lampedusa. Su altre rotte, lo sono anche Grecia e Spagna. Proseguiamo con l’opera di pattugliamento coordinata da Frontex, ma sosteniamo anche il governo italiano nel dialogo con i Paesi di provenienza. Entro l’estate sigleremo un accordo europeo di cooperazione con la Tunisia, una <+corsivo>mobility partnership<+tondo> in tema di visti e collaborazione di polizia. Con la Libia, nell’attuale situazione, è più difficile stringere accordi. E ho fiducia che le primavere arabe spalanchino nuove possibilità di dialogo con l’altra sponda del Mediterraneo, con l’Egitto ad esempio.
Condividere il fardello dell’accoglienza, col cosiddetto "burden sharing", è ancora un obiettivo europeo?Lo è. Preferiamo chiamarlo
responsibility sharing, ma è difficile obbligare i singoli Stati membri a condividere un’unica posizione.
Lei si batte per un sistema europeo di asilo. Quali sono i prossimi passi?Non si può accogliere tutti. Ma chi non ha diritto di soggiornare, deve poter essere rimpatriato con dignità e non con metodi brutali. Inoltre, oggi 10 Stati accolgono il 90% dei richiedenti asilo e ciò non è esattamente un peso condiviso. Per l’asilo è opportuno un sistema comune europeo, con una cabina di regia unica, per perequare gli ingressi. Entro l’anno spero che giungeremo a una decisione comunitaria.
La preoccupa il persistere di sentimenti nazionalisti e xenofobi in Europa? E come giudica la forte affermazione al primo turno in Francia del Fronte nazionale di Marine Le Pen?Inquieta constatare che in diversi Paesi ci siano ancora rigurgiti discriminatori. In Norvegia, il processo al terrorista Anders Breivik ha rinfocolato retoriche xenofobe. Ma anche la crisi economica fomenta gli animi a cercare un capro espiatorio, ad esempio negli immigrati. Accade in Francia, Italia, Olanda, Ungheria, Danimarca e Svezia, il mio Paese. Ci sono leader politici disinvolti, che speculano sulle insicurezze della gente per incassare voti, e altri leader moderati che non si oppongono con forza. Ciò disegna un quadro preoccupante.
A più di un lustro dalle bombe di Londra e Madrid, il terrorismo fondamentalista è ancora un problema per l’Ue? La strage di Tolosa, in Francia, sembra confermarlo.La minaccia ora è quella dei terroristi fai-da-te, i lupi solitari che si imbevono di radicalismo, si addestrano su Internet e progettano stragi. Per prevenirla, non bastano le leggi e l’intelligence. Serve una rete sociale di comunità locali, con la cooperazione quotidiana di leader religiosi, educatori e cittadini, per creare anticorpi adeguati.