Garante per l'infanzia. Garlatti: «Aiuti urgenti per i minori fragili»
Carla Garlatti, nuova responsabile dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza
Minori non accompagnati, emergenza educativa, abusi sui minori, pedofilia, allontanamenti, cyberbullismo, reati minorili, diritto all’inclusione. Tante le emergenze sul tavolo della nuova responsabile dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, su cui pesano le ricadute della pandemia con modalità di cui facciamo ancora fatica a valutare le conseguenze. «Tutto quello che ruota intorno a questi ragazzi è aggravato da una situazione pesantissima di fronte a cui non possiamo rimanere indifferenti», osserva la garante.
In che modo la pandemia incide su queste situazioni?
Molti reati giovanili, per esempio il cyberbullismo, sono stati amplificati dai vari lockdown. Purtroppo, come dimostrano le statistiche, sono aumentate anche le violenze domestiche. In particolare quella assistita. È un momento delicato. Dobbiamo raddoppiare le attenzioni per stare vicino ai più giovani.
Giusto ascoltare le proteste di questi giorni per una scuola in sicurezza?
Certo, giustissimo. Sono contenta che i ragazzi si facciano sentire e, nelle forme più adeguate, vanno ascoltati. Al centro ci dev’essere sempre il superiore interesse del minore che va però vagliato anche attraverso la lente dell’esperienza da parte di chi ha la responsabilità di farlo. In ogni caso il problema della scuola mi sta molto a cuore.
Nell’ultima Relazione al Parlamento dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, si indicava come obiettivo prioritario il sostegno delle famiglie "nella maturazione di competenze educative, affettive ed emotive così da prevenire la necessità di ricorrere agli allontanamenti" (23 al giorno secondo i dati del ministero della Giustizia). È d’accordo con questo obiettivo?
Certamente, anche se occorre ricordare che l’Italia è il Paese europeo dove i minori vengono meno allontanati dalle famiglie per interventi dell’autorità giudiziaria. Germania, Francia e Gran Bretagna hanno percentuali più elevate delle nostre.
Quindi da noi il sistema di protezione dei minori funziona meglio?
Forse, ma meno allontanamenti potrebbe anche voler dire meno controlli. Giusto preoccuparsi di evitare gli allontanamenti, ma se in una famiglia non esistono le condizioni per cui un minore possa vivere e crescere in modo sereno, il mancato allontanamento diventa un atto pregiudizievole per il minore. Allontanare un minore è sicuramente un intervento doloroso, non allontanarlo in certe condizioni può diventare un male peggiore.
Però le famiglie possono essere sostenute e aiutate…
Certo. E questo già si fa, quando possibile. Esistono però situazioni in cui, nonostante gli aiuti, l’ambiente familiare rimane invivibile. Anche allontanare il genitore violento, invece del minore, come auspicato dall’ultima proposta di legge sulla riforma dell’affido, non sempre offre una tutela adeguata nei confronti del bambino. Spesso infatti quel genitore non offre garanzie sufficienti di rispettare l’ordine di non avvicinarsi al minore, ritorna e fa peggio di prima. Ecco perché molto spesso mettere in protezione il minore rimane l’unico rimedio efficace.
Sempre nella stessa Relazione si sottolineava l’esigenza di disciplinare i procedimenti giudiziari in materia di responsabilità genitoriale secondo i principi costituzionali del "giusto processo" inserendo una serie di garanzie che oggi non sempre vengono osservate. Qual è la sua idea?
Assolutamente d’accordo. Il diritto minorile deve essere giurisdizionalizzato e il contraddittorio deve essere sempre garantito. I genitori per esempio devono essere avvertiti che possono costituirsi in giudizio con un avvocato e se non ne hanno i mezzi possono avvalersi del patrocinio a spese dello stato, ove ve ne siano i presupposti. Inoltre nulla va secretato, tranne nei casi in cui siamo di fronte a un minore messo in protezione: in questo caso la sua destinazione va tenuta segreta.
Da tempo si sottolinea la grave assenza di una banca dati per i minori fuori famiglia. Secondo il Report diffuso dal ministero della Giustizia per l’88% dei minori allontanati non si è più in grado di indicare la destinazione. Non crede sia urgente aggiornare i dati?
Urgentissimo, anche se il dato citato non mi stupisce. I tribunali non scelgono le comunità a cui destinare i minori, questo è un compito riservato agli enti locali attraverso i servizi sociali. Quando i minori vengono spostati e i Servizi sociali non comunicano le variazioni, per le procure minori è impossibile rintracciare le destinazioni. Anche perché il procedimento a un certo punto si chiude. Quindi è fondamentale una Banca dati che svolga un monitoraggio costante.
Non sarebbe più opportuno che tutto quello che riguarda il sistema di protezione dei minori, servizi sociali compresi, fosse coordinato direttamente dai Tribunali per i minorenni?
Ognuno deve svolgere il suo compito nell’ambito delle proprie competenze. Prendiamo il caso dell’affido, che è un buon istituto. Ma spesso i servizi sociali lamentano la mancanza di famiglie disponibili e, d’altra parte, nella mia esperienza, ho spesso raccolto gli appelli delle associazioni delle famiglie affidatarie che chiedevano di essere maggiormente coinvolte.
Più comodo e forse più "vantaggioso" indirizzare i minori verso le comunità?
Ma no, non si tratta di interessi economici. Formare le famiglie affidatarie, seguirle, stare loro vicino è certamente più impegnativo per gli enti locali rispetto alla soluzione della struttura d’accoglienza. Spesso è solo una questione di risorse - molto spesso carenti - e di formazione delle persone incaricate di svolgere questi servizi. Non se ne parla abbastanza, ma la formazione è fondamentale.